Negli Stati Uniti un provvedimento antipirateria passato quasi in sordina il mese scorso al Senato sta dividendo il mondo Internet in due blocchi, come forse mai era accaduto prima. Al di qua dal muro vi sono Google, Facebook, LinkedIn, Mozilla, Twitter, Yahoo; dall’altra parte, coperti da una cortina di ferro, Microsoft, Apple e altre 27 aziende informatiche. Al centro della questione il cosiddetto SOPA, qualcosa di fondamentale per il futuro della Rete e della distribuzione dei contenuti online.
Il SOPA (Stop Online Piracy Act) si è già guadagnato le pagine di tutti giornali, una pagina Wikipedia in costante aggiornamento, e costituisce al momento il tentativo migliore nelle intenzioni e peggiore nelle sue possibili conseguenze mai approvato nel paese della Silicon Valley di contrastare la pirateria.
Questo dispositivo, proponendosi l’obiettivo di bloccare il traffico relativo ai contenuti illegali, rende responsabili di danno economico ai detentori di copyright i siti che li ospitano, arrivando ad immaginare il blocco di Facebook e YouTube e persino l’obbligo legale di scandagliare tutti i tweet; persino Google sarebbe ritenuto colpevole in caso non evitasse di rendere visibili questi contenuti in una ricerca.
Secondo il disegno di legge, un procuratore federale potrà segnalare la violazione dei diritti d’autore al sito, chiedendo l’eliminazione e pretendendo dal motore di ricerca una pagina vuota come risposta. Tutto per difendere il consumatore e l’impresa economica dietro il contenuto, ma c’è chi lo paragona addirittura al firewall cinese, soprattutto per la possibilità di confiscare gli ID e portarli davanti ad un giudice senza una moderazione terza.
Due giorni or sono Tumblr, Mozilla e molte associazioni, compreso Reporter senza frontiere, hanno protestato contro la legge esponendo banner neri sui loghi dei rispettivi siti. Nella blogosfera si è andati anche oltre, e si è aperta una caccia alle aziende che potrebbero invece aver fatto lobbying e aver contribuito a stendere il testo del SOPA.
Insider ha cominciato a fare nomi e cognomi, partendo da due indizi: le aziende che fanno parte della Business Software Alliance sono le stesse alle quali non è stato possibile strappare nulla più di un “no comment” alla questione dell’atto antipirateria. I due nomi più in vista sono quelli di Microsoft ed Apple.
Così, social network e motori di ricerca da una parte, e aziende di hardware e software dall’altra, si rischia di costruire un muro di Berlino del mondo informatico. Ma ci sono buone notizie: anche in questo caso esistono le colombe che cercano una soluzione che non sia la guerra fredda tra superpotenze.
Il disegno di legge è infatti nella commissione della Camera e può essere ancora modificato. Le molte pressioni da parte dei cittadini, delle testate giornalistiche e delle associazioni hanno molte possibilità di arrivare a Washington, dove alcuni politici, di entrambi gli schieramenti, non sono però affatto convinti di portare a compimento il nuovo dispositivo di legge.