Mentre le major discografiche sognano la sistematica
distruzione di tutti i servizi di file sharing online tentando di imporre
i rispettivi sistemi proprietari, una ricerca indipendente arriva a confermare
quello che molti già sospettavano da tempo: che servizi come Napster, Morpheus,
Gnutella, Audiogalaxy ecc., siano un potentissimo volano per le vendite dei CD.
Questa notizia forse non farà piacere ai lobbisti della Recording Industry Association of America
(RIAA) che due settimane fa erano andati a chiedere soldi al Congresso degli Stati Uniti per intensificare
la loro campagna in difesa della proprietà intellettuale. In una
testimonianza scritta presentata al Comitato per gli stanziamenti della Camera,
il direttore della sezione antipirateria della RIAA, Frank Creighton, ha
applaudito gli sforzi del Dipartimento di
Giustizia contro i crimini ai danni del copyright, ma ha ribadito la
necessità di fare di più. Un abbassamento del livello di guardia, secondo
Creighton, «sarebbe una tremenda tragedia, non solo per i nostri interessi, ma
per l’America intera».
Eppure le ultime ricerche sembrano disinnescare l’allarme
della RIAA. I dati diffusi il 5 maggio da Jupiter
Media Metrix dimostrano che chi scambia abitualmente MP3 su Internet è più
disposto a mettere mano al portafogli per acquistare un CD di chi, pur
possedendo un accesso alla Rete, non pratica il file sharing.
La ricerca di Media Metrix, basata su un campione di 1.911
appassionati di musica online, di cui 305 abitudinari del peer-to-peer, rivela
che il 34% di questi ultimi spende più soldi in CD di quanto facesse
prima di darsi allo scambio di file, mentre il 15% spende di meno; la rimanente
metà non ha cambiato abitudini di acquisto. Chi non usa programmi di file
sharing ha aumentato l’acquisto di CD in ragione del 19%; il 10% spende
di meno, mentre il 71% non ha cambiato abitudini.
Secondo quanto dichiarato all’agenzia Reuters dall’autore della ricerca,
l’analista di Jupiter MMXI Aram Sinnreich, «Internet è la cosa più grande che
sia mai capitata all’industria musicale, e loro se la stanno facendo sfuggire».
Sinnreich sostiene che la RIAA dovrebbe coltivare questi fan, invece di
puntare alla distruzione dei servizi P2P. Ma i discografici fanno orecchie da
mercante e sbandierano un sondaggio da loro commissionato l’anno scorso:
secondo l’indagine, il 23% di chi non compra CD lo fa perché può ascoltare le
canzoni online.
L’unica maniera che la RIAA ha elaborato per “sfruttare” i
servizi di file sharing sembra essere quella di minacciarli di denuncia per poi
portarli ad accordi extragiudiziali milionari. L’ultimo caso di questo
genere risale al 9 aprile ed ha avuto per protagonista, suo malgrado, la
Integrated Information Systems (IIS), una società con sede in Arizona colpevole
di gestire server dedicati tramite i quali i suoi impiegati potevano scambiarsi
file MP3 sul network aziendale. IIS ha accettato di versare 1 milione di
dollari nelle casse della RIAA per evitare guai più seri.
Per la RIAA sembra una serie inarrestabile di trionfi. Ma
molti sono pronti a giurare che si tratti di vittorie di Pirro: con ogni battaglia,
i discografici mettono un po’ di liquidità nelle loro opulente casse; ma nello
stesso tempo si preparano a perdere una guerra il cui esito si vedrà su
un termine più lungo: quella per il futuro della musica