La Spagna ha approvato presso il Congresso dei Deputati una tassa destinata a far discutere ben oltre i soli confini del paese iberico: una vera e propria tassa su Google News, denominata Canon AEDE, pensata per colpire in generale tutti gli aggregatori di notizie online. In attesa che il testo arrivi alla camera alta per l’approvazione finale, infatti, la polemica è deflagrata tanto per la natura del provvedimento, quanto per il rischio contagio che tutta l’Europa sente proprio.
L’ispirazione è chiaramente quella tedesca, ove un provvedimento similare è già stato approntato in derivazione diretta dalle polemiche inizialmente maturate nei Paesi Bassi. In Germania tutte le fonti sono state di fatto escluse da Google News, in attesa di una nuova richiesta di ammissione che esclude Google da ogni obbligo di compenso nei confronti dell’editore. In Spagna l’approccio è invece parzialmente differente: l’uso di un abstract da parte di un aggregatore è considerato una sorta di diritto, che implica però un dovere simmetrico (di natura monetaria) nei confronti della fonte del testo.
La Canon AEDE è stata promossa dalla AEDE (Asociación de Editores de Diarios Españoles), ossia l’associazione che raccoglie i maggiori editori attivi in Spagna. Sebbene ancora non è chiaro quanto denaro sia in ballo, quel che è noto è che al livello formale la raccolta sarà gestita da una entità terza e i proventi con ogni probabilità saranno suddivisi tra i componenti della AEDE stessa.
Quella che passa fin da subito come una Google Tax, ha in realtà portata molto più vasta: in nessuna parte del testo il riferimento è infatti esplicito verso Google, estendendo così la Canon AEDE anche su Flipboard, Zite e quanti altri (compreso lo spagnolo Menéame, in attesa di capire se Facebook e Twitter possano rientrare nella medesima categoria degli aggregatori). Con ogni probabilità si farà pesare su Google l’impronta editoriale di Google News, chiedendo pertanto una partecipazione nella formazione degli utili di chi produce contenuto. Meno chiaro è come si possa impedire a Google di aprire un Google News iberico oltre i confini: soltanto un filtro esteso sui DNS potrebbe inibirne l’accesso agli utenti spagnoli, riducendo comunque in modo radicale (e pericolosissimo) l’accesso a fonti di informazione libere e autorevoli.
Le conseguenze potrebbero essere estremamente gravose per gli internauti spagnoli. Google potrebbe infatti chiudere la versione iberica di Google News per evitare la creazione di un precedente che avrebbe inevitabile effetto domino su scala internazionale; Flipboard e simili potrebbero dover cercare una scappatoia, o quantomeno andrebbero ad alienare i contenuti dei principali editori locali autorizzando di fatto la nascita di alternative locali basate sulla grande editoria cartacea. La reazione “dal basso” non ha tardato ad arrivare: in molti hanno già firmato il proprio personale boicottaggio dei siti relativi ad associati AEDE, mettendo così le mani avanti nell’alienare risorse da chi ha dato origine a questa dicotomia che andrà esasperandosi.
Rischio contagio: cosa fa l’Italia?
Belgio, Germania, Spagna. Ma anche Francia. In Europa soffiano forti i venti anti-Google e da tempo il continente formattato attorno alle idee di Gutemberg si ribella al nuovo imprinting che tenta di suggerire la nuova era dell’informazione online.
Declinare la Canon AEDE all’Italia, almeno a livello ipotetico, è sufficiente per capire cosa potrebbe accadere. Se qualcuno proponesse un simile approccio nel nostro paese, magari riconoscendo alla SIAE l’onere di raccolta dei diritti (sulla falsa riga di quanto richiesto in ambito equo compenso), il vaso traboccherebbe infatti in pochi minuti.
In Italia, ove la grande editoria vive da sempre di sussidi statali e la piccola editoria cerca mezzi di sussistenza propri barcamenandosi tra grandi idee e manovre pericolose, una simil-Canon AEDE andrebbe ad erodere gli ultimi fragili equilibri rimasti. A quel punto sarebbe fronte contro fronte: il mondo post-cartaceo contro il mondo neo-digitale, una guerra tra poveri nel quale il legislatore detta le regole e il mercato fa da giudice ultimo. Sarebbe uno scontro forse senza precedenti e non privo di conseguenze per il futuro dell’informazione nel nostro paese, poiché in ballo vi sarebbero milioni di euro e importanti rapporti, entrambi finora sempre appannaggio dei “big” del comparto.
Presto o tardi l’idea di una tassa sugli aggregatori giungerà anche in Italia (il primo passo lo ha già mosso la FIEG a fine 2012) e come sempre mischierà i propri destini, in modo disorganico e confusionario, alle polemiche sull’evasione fiscale degli “over the top” e sul bailamme dell’equo compenso. Difficile capire come se ne potrebbe uscire, ma una cosa è certa: presto o tardi qualcuno accenderà il cerino. E sarà il caos.