L’energia elettrica può essere prodotta, può essere consumata, ma non può essere facilmente conservata. Ed a ben pensarci è questo uno dei problemi principali dell’epoca odierna, poiché di fronte a questo ostacolo si fermano grandi utopie e molti progetti orientati ad un nuovo equilibrio di sostenibilità. Il fatto che l’energia elettrica non possa essere archiviata in modo conveniente è quel che rallenta progetti di mobilità elettrica, è quel che impedisce il taglio dei combustibili fossili, è quel che rallenta prospettive di sviluppo basate su questo tipo di energia. Il problema della conservabilità è alla base di molti altri problemi e per questo motivo va definito come prioritario e fondamentale: soltanto superando l’ostacolo della conservazione dell’energia elettrica sarà possibile operare quel salto di paradigma a cui si è ormai istintivamente pronti. Il collo di bottiglia, una volta tanto, è nella tecnologia e anche questo, per molti versi, è un unicum nel contesto di una innovazione che spesso si fa traino e ben raramente risulta in difetto rispetto alle aspettative.
Non si può conservare l’energia, ma questo è esattamente quel che serve. Se non si può conservare l’energia, si può conservare invece qualcosa che possa produrne al momento opportuno: acqua in caduta, gas sotto pressione, calore, reazioni chimiche. Sono dunque queste le direzioni nelle quali sta avanzando la ricerca, perché una soluzione è necessaria e l’urgenza si fa sempre più evidente.
Una situazione come la seguente è del tutto tipica e qualsiasi proprietario di impianto fotovoltaico potrà comprovarne la veridicità:
Immaginiamo un’abitazione-tipo di 100/150 metri quadrati con una ventina di pannelli installati sul tetto dalla capacità complessiva di cinque kilowatt: se nel momento di massima produzione energetica – vale a dire nelle ore centrali della giornata- nessuno sfrutta questa risorsa, la stessa si riversa nella rete elettrica nazionale senza portare alla casa in questione alcun grande vantaggio. Verso sera, invece, quando il livello di produzione energetica scende e magari ne servirebbe di più, ci si ritrova costretti a prelevare energia dai circuiti tradizionali per far fronte alle necessità quotidiane.
Risolto questo paradosso, inizierà un mondo nuovo.
Verso il futuro dell’energia
- Come conservare l’energia
- Come sfruttare l’energy storage
- Le smart grid
- Nuovi modelli di business
- Le soluzioni, il futuro
Come conservare l’energia
Se si potesse conservare l’energia, il quadro cambierebbe completamente: avremmo più energia disponibile nei momenti di picco, riducendone i costi. È questo l’anello mancante nella evoluzione dell’economia a basse emissioni di C02.
Sono queste parole tratte da Eniday, blog del gruppo del cane a sei zampe. La fonte non è casuale: Eni, nato come gruppo per l’estrazione e la distribuzione di petrolio e gas, da tempo ricorda come il baricentro si sia ormai spostato focalizzando l’attenzione non sugli idrocarburi, ma sull’energia. E il concetto di energia va ben oltre i soli idrocarburi: c’è un intero ecosistema da ripensare alla radice, ponendosi obiettivi di lungo periodo che gettano le basi sulla ricerca scientifica odierna. Tuttavia occorre realismo e la verità unica è che ad oggi non si possa fare a meno degli idrocarburi a causa di alcuni problemi specifici delle fonti rinnovabili: la loro attuale scarsità, la loro connaturata discontinuità e la loro inevitabile inaffidabilità.
I pannelli fotovoltaici producono soltanto in orario diurno e soltanto in assenza di maltempo, ad esempio. Le pale eoliche producono soltanto in presenza di vento ed in base all’intensità dello stesso. Altre fonti si comportano in modo sommariamente simile, dipendendo fortemente dall’energia naturale sfruttata. Per poter garantire una fornitura sufficiente e continua, invece, occorrerebbe un percorso inverso finora raramente ottenuto in modo economicamente interessante: soltanto riconvertendo in modo conveniente l’energia dinamica in energia potenziale, così da poterla sfruttare in modo efficiente durante i picchi di domanda, si può pensare di traslare l’intera produzione energetica sull’elettricità e al netto del supporto dei combustibili fossili.
Un sistema di immagazzinamento dell’energia spiega in modo più chiaro di ogni altro ciò che occorre fare: una volta sfruttata l’acqua in caduta da un bacino idrico, viene ripompata a monte nelle ore di minor richiesta energetica così da ripristinare il livello di energia potenziale antecedente. La medesima acqua verrà fatta cadere a valle per sfruttarne l’energia dinamica e convertirla nuovamente in elettricità. Siccome i processi di trasformazione non hanno mai efficienza al 100% (obiettivo non perseguibile per molti motivi), tali conversioni hanno un costo che ne rende poco conveniente l’utilizzo. Molte altre variabili contribuiscono inoltre a rendere complessa la realizzazione dell’utopia: disponibilità di bacini, vicinanza rispetto ai luoghi di assorbimento dell’energia, eccetera. Tutto ciò rende pertanto complesso l’avvicinamento all’obiettivo fondamentale: conservare l’energia.
Batterie
Se la produzione, l’efficienza e lo smaltimento delle batterie fossero passaggi in grado di garantire sostenibilità ai processi, la mobilità elettrica voluta da Tesla Motors sarebbe già realtà dominante ed il nuovo paradigma sbloccherebbe una miriade di innovazioni che plasmerebbero del tutto il modo di intendere la mobilità stradale. Ciò invece, non accade: le batterie sono ancora eccessivamente pesanti e voluminose, la loro perdita di efficienza nel tempo è ancora ampia, l’autonomia consentita è ancora bassa, i costi rimangono elevati e lo smaltimento continua ad essere problematico. Tuttavia la ricerca sta facendo grandi passi avanti: nuove tecniche di immagazzinamento si fanno largo, l’ottimizzazione sta riducendo dimensioni e costi, l’autonomia aumenta. Tra il 2014 e il 2015 la capacità di stoccaggio a livello globale è aumentata del 5%, ma v’è fiera convinzione (qualcosa più di una semplicistica speranza) di poter far di meglio negli anni a venire grazie alle economie di scala che andranno poco alla volta ad instaurarsi.
L’importanza delle batterie è cruciale: sono l’unica vera possibilità di stoccaggio dell’energia concomitante alla portabilità della stessa, senza la necessità di infrastrutture: nodi mobili, insomma, in grado di trasportare energia per assorbirla e rilasciarla in base alle necessità. Lo sviluppo degli accumulatori è pertanto identificato da molti come la chiave di volta del problema. Ma non bisogna pensare alle batterie come a semplice riserva di energia a disposizione di questa o quella funzione: in ottica futura, le batterie saranno nuove ed ulteriori estensioni della rete di distribuzione, alla quale potranno interfacciarsi sia richiedendo che restituendo energia. L’integrazione genererà infatti economie nuove e nuovi modelli di business che dovrebbero rendere più conveniente la produzione e il possesso degli accumulatori stessi, stimolando inoltre una maggior cultura del risparmio e dell’utilizzo consapevole dell’energia acquistata.
Nissan sta esplorando ad esempio la possibilità di trasformare le automobili in accumulatori itineranti: una volta parcheggiate e collegate alla rete, consentono di consegnare elettricità laddove sia richiesta, recuperando quindi la carica al momento opportuno. Un’auto parcheggiata può dunque divenire una risorsa preziosa laddove metta a disposizione le proprie batterie per l’utilità collettiva. Gli esperimenti con la Nissan Leaf sono realtà già da qualche tempo, consentendo ad esempio una comoda alimentazione di una abitazione in orario notturno sfruttando semplicemente l’auto parcheggiata in garage. Il patto siglato con Enel a fine 2015 ne è la trasposizione fattuale in Italia, gettando le basi a quella che è denominata “Vehicle-to-Grid“.
La risposta delle “Smart Grid”
La prospettiva è quella di una rete di distribuzione dell’energia fortemente ripensata rispetto a quelle tradizionali. Da sempre, infatti, i processi di produzione sono stati concentrati in poche centrali a grande potenziale (dal nucleare all’idroelettrico, passando per tutte le declinazioni intermedie basate spesso e volentieri sugli idrocarburi), ma questo non è più un profilo adeguato per le necessità di un mondo che basa sempre di più sull’elettricità i propri consumi. Il futuro è dunque quello di una rete nella quale tanto i centri di consumo quanto quelli di produzione sono distribuiti (ottimizzando così le percorrenze e lo sfruttamento delle infrastrutture), mentre la rete stessa si configura come un sistema intelligente in grado di prevedere, gestire e distribuire i carichi.
Nasce di qui l’idea delle “smart grid“, una sorta di infrastruttura neutrale che si pone tra centri di produzione (sempre più piccoli e sempre più numerosi) e centri di consumo (industria e privato sposteranno sempre di più il baricentro dei consumi nella direzione dell’elettrico). Tale prospettiva, da tempo ormai al centro delle prospettive di politica energetica del mondo occidentale, trovano ancora ostacolo nel fatto che la sicurezza informatica potrebbe divenirne tallone d’Achille: cosa succederebbe se il terrorismo prendesse di mira sistemi intelligenti che gestiscono una nervatura tanto fondamentale come una smart grid nazionale? Il problema si pone (e Barack Obama in primis ha già posto pubblicamente la questione più volte), ma non sarà un ostacolo: le reti di distribuzione intelligente sono il futuro ed ogni pericolo sarà limitato attraverso le necessarie precauzioni e compartimentazioni.
La conversione stessa alle fonti rinnovabili, del resto, suggerisce l’approdo ad un nuovo modello. Questo perché la produzione è estremamente differente: impossibile concentrare grandi produzioni in piccoli luoghi, mentre molto più semplice è pensare ad una rete di generazione diffusa e capillare, per molti versi corrispondente al piccolo impianto fotovoltaico per ogni tetto disponibile. La chiave è pertanto la “solar-to-grid“, principio che enuncia una integrazione profonda tra il fotovoltaico e la rete esistente, assimilando le due parti ad una sorta di corpo organico.
Ad oggi la produzione di energia elettrica da fotovoltaico equivale all’1% circa del totale dell’energia elettrica sfruttata a livello mondiale, con una crescita media pari a circa 60GW annui. In Italia il totale ammonta a poco meno di 20 mila MW, con uno sviluppo di nuovi impianti fortemente in declino dopo il boom del triennio 2010/2012. La produzione è pertanto in generale talmente bassa che sarebbe semplicemente ridicolo pensare di affidare subito alle fonti rinnovabili tutto il peso della domanda energetica esistente. Non va invece considerata un’utopia uno spostamento sempre più deciso e repentino del baricentro della produzione: l’unione delle fonti rinnovabili, la propulsione della ricerca e nuove politiche energetiche hanno il dovere di spostare gli equilibri verso un nuovo modo di intendere gli approvvigionamenti ed i modelli di business correlati.
L’Italia, secondo quanto indicato dai dati del SolarPower Europe Global Market Outlook 2015-2019 (download), sta vivendo una fase di forte contrazione degli investimenti, ma tutto ciò dopo una fortissima fase espansiva registrata negli anni precedenti. Oggi alcune misure retroattive sugli incentivi ed alcune modifiche sui piani contrattuali ha raffreddato gli investimenti da parte dei privati, aprendo ad una fase di normalizzazione che andrà ridisegnata fin dai prossimi mesi in prospettiva futura. In generale il report indica per il nostro paese un quadro legislativo fatto di luci ed ombre, ben migliore in ogni caso rispetto a molti paesi del vecchio continente che ancora continuano a fare resistenza di fronte alle prospettive della produzione elettrica tramite energia solare.
Nuovi modelli di business
Guardare al futuro significa spesso sognare, ma sognare è pericoloso quando si inseguono le utopie senza pianificare il percorso che possa trasformarle in realtà. Ecco perché occorre pensare all’energia in un’ottica estremamente pragmatica e all’interno di programmazioni di lunga gittata: l’energia elettrica è lo standard conclamato del futuro, la produzione della stessa sarà presto o tardi maggiormente improntata sulle fonti rinnovabili, ma per arrivare a ciò occorre sviluppare nuove tecnologie, nuovi modelli e nuove infrastrutture. Nel frattempo si può ridurre l’impronta degli idrocarburi, ma senza pensare di poterne fare a meno in tempi rapidi: semplicemente, è impossibile.
Il percorso è destinato però a lasciare forti segni, sradicando punti fermi dell’economia del passato e costringendo a ripensare a modelli di business consolidati. Ancora Eni:
[…] l’impatto più grosso lo avranno i servizi, che vedono i loro modello di vendita via via estinguersi da quando sempre più consumatori generano l’elettricità che usano. Come possano affrontare l’aumento dello stoccaggio di energia resta ancora un mistero, ma una cosa è certa: non possono ignorarlo e, se vogliono sopravvivere, dovranno abbracciare nuovi modelli di business.
Uno di questi modelli potrebbe essere “limitato” alla semplice gestione del trasporto dell’energia. Il futuro potrebbe essere infatti immaginato come una grande rete che integra molte piccole fonti di produzione: piccole centrali idroelettriche (ricavate anche da fiumi con scarsa portata), microeolico, batterie con disponibilità immediata, impianti per lo sfruttamento delle maree e altre fonti potranno fornire energia ad una rete intelligente in grado di gestire i carichi, equilibrare l’offerta e distribuire l’energia laddove ve ne sia richiesta. Molti gli esperimenti in atto: dallo sfruttamento delle onde all’uso dell’energia termica in grandi masse d’acqua, passando per la conservazione del calore solare all’interno di sali. I sistemi che si riveleranno più efficienti dal punto di vista economico, e su questo aspetto potrà incidere in prospettiva anche la sostenibilità del progetto, sopravviveranno ad una legge di Darwin declinata all’economia che si applicherà anche sul nuovo mercato: la moltiplicazione delle opportunità fa gola a quanti intravedono nell’evoluzione dell’energia il business del nuovo millennio.
La rete e l’efficienza della stessa potrebbero dunque divenire asset primari per aziende pronte ad investirvi, mentre la produzione potrebbe cambiare radicalmente in base a nuove politiche energetiche e nuove soluzioni suggerite dal mondo della tecnologia. Se a ciò si aggiunge una profonda revisione del modo e delle quantità dei consumi, ecco dipinto un quadro generale radicalmente modificato nel giro di pochi decenni. Decenni: non anni, non mesi. Dunque alla radicalità delle prospettive occorre contrapporre la pragmaticità di un presente nel quale l’evoluzione del mondo dell’energia deve essere anzitutto una questione etica e culturale, preparando il campo a ciò che verrà.
Il problema, la soluzione, il futuro
L’energia non è un problema, ma IL problema. Lo è poiché occorre preparare culturalmente le nuove generazioni affinché operino alla ricerca di una soluzione. Lo è perché può sbloccare creatività e nuovi modelli, aprendo davvero ad una nuova era. Lo è nella misura in cui abdichiamo al sogno, ma al tempo stesso rimane un problema nella misura in cui perseguiamo il sogno stesso senza la necessaria concretezza. Sperare nell’energia rinnovabile non significa abbandonarsi alla chimera, quanto agire affinché le molte problematiche esistenti possano essere superate attraverso un percorso di coesistenza e compromesso con sistemi collaudati ed efficienti.
Preparare culturalmente le nuove generazioni significa fornire loro gli elementi necessari per una riflessione seria sul problema. L’Italia ha firmato una presa di posizione contro il nucleare molto tempo addietro e quella generazione ha praticato una scelta di campo che ha segnato i decenni successivi: le nuove generazioni dovranno ora scegliere come approcciarsi al futuro e dovranno farlo con quanta più cognizione di causa possibile, poiché le politiche per l’energia non sono soltanto scelte di presente, ma soprattutto scelte di futuro. L’innovazione ne è strumento.