Gli eSports non sono certo cosa nuova, ma negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria esplosione del fenomeno. Attenzione quindi a non definirli dei semplici videogiochi, per molti sono un vero e proprio lavoro (talvolta ottimamente retribuito), una professione a tempo pieno, una disciplina sportiva a tutti gli effetti. Cresce anche il pubblico che segue gli eventi eSports Live, dal vivo nei palazzetti oppure in streaming, attirando così brand e investimenti.
Il fenomeno eSport
Le origini (↑)
Si parla di sport elettronici fin dagli anni ’70 e ’80, decenni relegati al secolo e al millennio scorso, per certi versi molto lontani, ma di cui ancora oggi risentiamo l’influenza nel mondo videoludico. Ne sono testimonianza le tante iniziative commerciali che strizzano l’occhio agli appassionati di retrogaming, come il lancio di console riproposte in versione mini che riportano in vita giochi e piattaforme d’epoca. Il primo vero e proprio torneo di cui si ha memoria è quello organizzato il 19 ottobre 1972 alla Stanford University, in California, con il rudimentale Spacewar in esecuzione su PDP-1.
Le cose iniziarono a farsi serie già nel 1980, con la Space Invaders Championship organizzata da Atari che attirò oltre 10.000 partecipanti da tutti gli Stati Uniti. Con l’avvento degli anni ’90 e grazie anche alla sempre più capillare diffusione delle connessioni Internet gli eventi e gli eSports games si spostarono man mano verso il mondo online. Uno dei primi titoli a catalizzare l’attenzione dei giocatori fu Netrek, basato su combattimenti spaziali e capace di coinvolgere fino a 16 partecipanti per ogni sfida. Fu poi la volta della grande ondata degli sparatutto e dei primi giochi di ruolo ambientati in un universo persistente (MMORPG) come Ultima Online, seguito da World of Warcraft e altri celebri eredi. Da lì in poi è stato un continuo crescendo, arrivando alla creazione di leghe professionali e all’allestimento di tornei con ricchi premi in denaro.
Gli eSports in Italia (↑)
Se possiamo affermare senza timore di smentita che la patria degli eSports sia la Corea del Sud (si ipotizza per via dell’esplosione di Internet in seguito alla crisi del 1997), anche l’Italia si difende più che bene. Nel nostro paese si parla fin dagli anni ’80 e ’90 di tornei organizzati prima offline e poi online, grazie anche alla comparsa di locali multiplayer o eSports Arena su tutto il territorio, locali in cui gli appassionati si ritrovavano per dar vita a LAN party e sfide ai loro titoli preferiti. Nel 1984 venne fondata a Milano l’Associazione Italiana Video Atletica, con il primo campionato nazionale organizzato l’anno successivo.
Facendo un alto avanti nel tempo, nel 2014 l’ASI (Associazioni Sportive Sociali Italiane) diede vita a Giochi Elettronici Competitivi, ente riconosciuto dal CONI che si occupa di regolamentare l’attività relativa agli sport elettronici. Oggi il fenomeno è esteso in ogni dove, a tutte le latitudini.
Gioco o lavoro? (↑)
Quello che per molti inizia come una semplice passione, un passatempo, per qualcuno si trasforma poi in un vero e proprio lavoro. Sono sempre di più i professionisti del videogame, coloro che hanno scelto di fare delle abilità con gamepad o mouse e tastiera la propria attività. Si inizia a parlare anche di sindacati e associazioni di player istituiti al fine di tutelarne i diritti: si pensi ad esempio alla gestione delle spese per le trasferte o a quelle per l’acquisto dell’equipaggiamento necessario per partecipare alle gare. Ci sono poi i cosiddetti eSports manager che formano la squadra e fungono da anello di congiunzione tra i giocatori e la dirigenza, occupandosi delle questione legate a gestione e logistica dell’eSports Team. A loro si aggiungono i coach focalizzati sull’allenamento e sul miglioramento delle skill.
Per meglio comprendere l’entità del giro d’affari legato al fenomeno eSports basta dare un’occhiata alle stime di Newzoo: 325 milioni di dollari generati nel 2015 a livello globale con un audience composta da 226 milioni di persone, saliti a 493 milioni di dollari l’anno successivo. Il 42% del business è riconducibile al mobile gaming (dato aggiornato all’aprile 2017), con la quota destinata a crescere fino al 50% entro il 2020, mettendo così in discussione la storica leadership dei titoli per PC e console.
I videogame (↑)
A proposito di titoli, se negli anni ’90 gli eSports Tournament erano focalizzati principalmente su picchiaduro e sparatutto, con l’avvento del nuovo millennio si è registrato un incremento nell’interesse verso gli strategici, gli RPG e i giochi sportivi. Secondo Business Insider, quelli che a livello mondiale hanno generato maggiore interesse nel 2017 sono l’ormai onnipresente League of Legends, gli FPS della serie Call of Duty, il multiplayer online battle arena DOTA 2, lo sparatutto in prima persona Overwatch e l’immortale StarCraft che sembra non risentire gli effetti del tempo.
Molto seguite anche le competizioni relative alle simulazioni calcistiche (FIFA e Pro Evolution Soccer), ai fighting game come Street Fighter e alle carte collezionabili di Hearthstone: Heroes of Warcraft. Un segmento in forte crescita è invece quello legato ai battle royale come Fortnite e PlayerUnknown’s Battlegrounds. Per tenere traccia dei tornei organizzati è possibile far riferimento a eSports Hub che costantemente segnalano la disponibilità di nuove competizioni, le modalità di partecipazione e l’ammontare dei premi in palio.
I giocatori (↑)
I giocatori più celebri sono delle vere e proprie celebrità, legati ai brand da ricchi contratti e sponsorizzazioni da capogiro. Un sondaggio indetto da Red Bull ha eletto l’eSports Player of the Year: questa la classifica dalla prima alla decima posizione.
- Faker, Corea del Sud (League Of Legends);
- Coldzera, Brasile (CS:GO);
- MenaRD, Repubblica Dominicana (Street Fighter);
- Willkey, Finlandia (Rainbow Six: Siege);
- Kaydop, Francia (Rocket League);
- Formal, Stati Uniti (Call Of Duty);
- KuroKy, Germania (DOTA 2);
- Gorilla, Inghilterra (FIFA);
- Orange, Svezia (Hearthstone);
- Snakebite, Stati Uniti (Halo).
Il portale eSports Earnings raccoglie poi una chart con l’ammontare complessivo dei premi conquistati dai giocatori: al primo posto c’è il tedesco KuroKy con oltre 3,6 milioni di dollari racimolati in carriera, mentre il più importante esponente italiano è stermy (all’anagrafe Alessandro Avallone) che ha raccolto circa 225.000 dollari grazie soprattutto alle proprie abilità con Painkiller e altri sparatutto come quelli della serie Quake.
2017's @QuakeCon kicks off in 5 days! Catch the $1,000,000 @Quake World Championships Finals. Tune in to see these familiar faces! pic.twitter.com/XxQwL9ZgmA
— Quake Champions (@Quake) August 19, 2017
Gli eSports alle Olimpiadi (↑)
Se si desidera capire quanto il fenomeno abbia assunto importanza è sufficiente citare la storica apertura del Comitato Internazionale Olimpico che ha definito gli sport elettronici “un’attività sportiva” a tutti gli effetti, focalizzando l’attenzione sulla preparazione dei giocatori coinvolti, tenuti ad allenarsi con un’intensità e una frequenza paragonabile a quella degli atleti che praticano discipline più tradizionali. Questo ha portato a ipotizzarne l’inclusione tra le competizioni che in occasione di Paris 2024 assegneranno le medaglie d’oro, d’argento e di bronzo. La decisione del CIO sugli eSports Olympics sarà presa solo dopo la conclusione di Tokyo 2020, ma tutto lascia pensare a un esito positivo.