La società civile non potrebbe accettare uno strappo culturale e tecnologico imponente come quello che sta penetrando il mondo della mobilità se sull’altro piatto della bilancia non fossero poste le necessarie rassicurazioni relative alla sicurezza del punto d’arrivo a cui si aspira. Già oggi, in questa fase di confuso passaggio di consegne tra un passato centenario ed un futuro agli albori, la sicurezza è ai vertici di ogni ragionamento: la tecnologia è entrata nell’automobile passando per questo varco e continua a soprassederlo con forza, ribadendo ad ogni novità quanto bene possa fare l’innovazione per garantire procedure in grado di annichilire ogni forma di rischio.
Tuttavia lo strappo che sta per consumarsi, soprattutto in seno al lento palesarsi delle tecnologie per la guida autonoma, è tale da imporre una riflessione nuova sul tema poiché per la prima volta l’uomo ha iniziato realmente a delegare alla macchina il controllo del proprio destino. Vi si affida, passivamente e progressivamente, sperando che la tecnica possa superare le capacità della persona.
Uomo, l’anello debole
C’è un fattore conclamato a spingere fortemente nella direzione intrapresa dalla ricerca: l’anello debole della sicurezza sulle strade è l’uomo. Se un algoritmo funziona in modo programmato, e la sua bontà è tutta nella bontà della codifica che lo smuove, l’uomo ha invece in sé il germe dell’imprevedibilità. E della fallacia, chiaramente.
Secondo i dati forniti dall’ISTAT, nel 2013 si sono verificati in Italia circa 182 mila incidenti stradali con lesioni a persone, per un totale di 260 mila feriti. La maggior parte degli eventi di sinistro, però, ha una causa primaria a monte: l’uomo. Secondo quanto stimato dal Sindacato Italiano Periti Assicurativi, infatti, le maggiori cause di incidente sono il mancato rispetto dei limiti di velocità, la guida in stato di ebrezza o sotto l’influenza di sostanze psicotrope, l’inosservanza della distanza di sicurezza, guida con uso contemporaneo di dispositivi quali i telefoni, manovre non permesse e altro ancora. L’ACI mette inoltre ai primi posti tra le cause di incidente anche il sonno, una sorta di circostanza contestuale che abbassa ulteriormente lo stato di attenzione e pertanto alza la possibilità che non vengano rispettate le norme che dovrebbero garantire la sicurezza di chi sta sulla strada.
Imperizia, o a volte anche l’eccessiva fiducia nelle proprie possibilità di controllare il mezzo e la situazione, oppure la semplice disattenzione, nonché il gusto di spingersi oltre il limite in modo più o meno consapevole, rappresentano pertanto la causa della stragrande maggioranza degli incidenti stradali.
Di questo la società civile è ormai pienamente consapevole più di quanto non lo siano i singoli individui, i quali tendono a negare i propri limiti pur puntando il dito con maggior facilità sui problemi della collettività: le statistiche parlano chiaro e raccontano anche di un trend in diminuzione a mano a mano che le tecnologie arricchiscono le qualità dei veicoli nel controllare frenate, tenuta di strada, distanza di sicurezza, colpi di sonno e altro ancora. Tuttavia l’uomo era e rimane il granello di sabbia nell’ingranaggio: la mobilità non sarà mai pienamente sicura finché l’uomo avrà le mani sul volante.
La risposta è nella tecnologia?
Si, la risposta può essere nella tecnologia. L’innovazione tecnologica ha già fornito importantissimi elementi di assistenza al compito dei guidatori. Le auto hanno ormai in modo standardizzato strumenti di assistenza alla frenata, allo sterzo in curva, al controllo della velocità massima consentita, al rispetto della distanza di sicurezza. Tuttavia l’evoluzione sta portando la tecnica verso un nuovo approccio al problema: non soltanto assistere l’uomo, ma arrivare a sostituirne le funzioni per aumentare la sicurezza dello stesso.
Un esempio classico è la tecnologia Ford Pre-Collision Assist con Pedestrian Detection, la quale è in grado di controllare gli ostacoli di fronte all’automobile per attivare la frenata in autonomia qualora il guidatore non abbia notato l’eventuale pericolo imminente. Una tecnologia di questo tipo non soltanto evita guai all’automobile e al pilota, ma diventa una garanzia anche per i pedoni che dovessero malauguratamente trovarsi sul percorso dl veicolo. Una videocamera, un radar, un’intelligenza di bordo e un sistema di frenata automatica possono fare dunque molto più di quanto non possa fare l’uomo, il quale all’interno della strada e del veicolo è immerso da simboli e sollecitazioni che in ogni momento potrebbero distrarlo dall’unica cosa a cui dovrebbe badare: la guida.
La sostituzione del guidatore non sarà però mai completa fin quando l’uomo non avrà tolto, definitivamente, le mani dal volante. La disgiunzione fisica tra auto e pilota sarà il punto di non ritorno e su questo stanno lavorando in molti nell’industria dell’automotive: l’auto a guida autonoma non è più un miraggio ormai da tempo e presto diventerà realtà. Entro il 2020 si prevede che vi possano essere le prime flotte sui circuiti stradali, probabilmente iniziando all’interno di scenari controllati e presumibilmente in aree metropolitane, laddove maggiore è l’esigenza di soluzioni di mobilità intelligente e sostenibile con cui far fronte al traffico ed all’inquinamento.
La sostituzione e la delega
Nel momento in cui l’uomo avrà tolto le mani dal volante, però, sarà entrato in una dimensione nuova. Le mani sul volante sono un simbolo che arriva dal passato, sono le braccia tese sulle briglie, sono il controllo della persona sullo strumento. Abbandonare il volante significa affidarsi al mezzo, abbandonarsi alle sue promesse, fidarsi delle sue garanzie. Cambia completamente la percezione dell’auto: quello che era un mezzo da dominare diventa un luogo nel quale rinchiudere il tempo tra una partenza e un arrivo.
Con le auto a guida autonoma l’uomo dovrà delegare completamente la propria sicurezza alla tecnologia. Non è un processo semplice, ma in buona parte già avviato: i timori nei confronti di sé stesso hanno portato l’uomo a cercare strade alternative ed il progressivo incedere della tecnica sulle strumentazioni di bordo ha già portato ad un affiancamento che precede l’accettazione culturale del trasferimento delle responsabilità di guida dall’uomo agli algoritmi intelligenti di un veicolo avanzato.
Questo progressivo affiancamento, nonché la sempre maggior intimità tra l’uomo e la tecnologia, eviteranno all’automotive gli scontri tra apocalittici e integrati che l’innovazione ha dovuto affrontare anni addietro: il sostrato culturale è differente e la guida autonoma potrà iniziare ad attecchire non appena avrà affrontato gli ultimi due scogli: primo, va convinto il mercato dell’affidabilità e della sicurezza dei mezzi; secondo, va integrato questo nuovo modello di guida all’interno delle legislazioni esistenti, scritte quando ancora le auto erano oggetti privi di tecnologie intelligenti.
Che l’uomo abbia già iniziato a delegare il proprio ruolo di guidatore del resto è chiaro ormai da tempo: con l’introduzione dei navigatori satellitari, infatti, la scelta della strategia di viaggio è già stata attribuita ad un algoritmo e ad una serie di server remoti. Dalla scelta attiva della strada da compiere, bivio dopo bivio, la persona diventa mero pilota, semplice esecutore. Il primo passo, in modo silente, è stato compiuto.
L’uomo custodito
Alla mobilità del futuro l’uomo chiederà un occhio di riguardo. Nel momento stesso in cui viene tolto il controllo della guida alla persona, infatti, l’auto diventa un contenitore. L’uomo deve giocoforza pretendere sicurezza assoluta, poiché la responsabilità prima di un involucro è quella di custodire. La sicurezza rientra nel compromesso: l’uomo è disposto a cedere il posto di guida soltanto in cambio delle necessarie rassicurazioni. Delegare la sicurezza al veicolo significa pertanto investire le case produttrici di una responsabilità e di una fiducia fondamentali: escludere dal meccanismo la prima causa di incidenti, ossia l’uomo e la sua imperfezione, girerà l’attenzione sulle funzioni strutturali protagoniste di quella che oggi è la minima parte delle cause di sinistro.
L’auto dovrà pertanto avere strumenti tali da evitare collisioni in ogni situazione; dovrà controllare i pneumatici ed il loro stato di conservazione; dovrà monitorare la buona salute delle strutture interne; dovrà offrire i necessari input alla persona, affinché possa assistere alla guida allo stesso modo in cui oggi la tecnologia di bordo assiste il pilota.
K’atto del custodire ha una sfumatura paternalistica: significa prendersi cura, oltre che garantire. Significa mettere a proprio agio, accomodare, rendere gradevole il tempo passato assieme. Il concetto di “mobilità sicura” contempla dunque una vasta gamma di attenzioni e di specifiche, tutte già da tempo ascritte nelle programmazioni di ricerca dell’industria di riferimento.
Predittività e intelligenza di rete
La sicurezza dell’uomo e del veicolo non saranno delegate completamente all’auto in sé, ma in buona parte saranno appannaggio di una sorta di intelligenza di rete che rappresenta il vero valore aggiunto dell’Internet of Things. Sistemi di monitoraggio e controllo che rendono più fluido il traffico, nonché nuove realtà intermodali che semplificano agli individui il raggiungimento di una meta, sono elementi facilitanti che potranno in prospettiva migliorare radicalmente il quadro generale della mobilità.
Semafori intelligenti, sensori sulle strade, interazioni continue: i modelli predittivi disponibili grazie ai Big Data sono destinati ad ottimizzare la mobilità al punto da renderla un meccanismo adattabile ed imparativo. L’auto in questo sistema è soltanto uno dei tasselli: funge da sensore, fornisce dati al processo, ed infine opera da output portando a compimento le scelte compiute a livello centrale. L’uomo in tutto ciò è il terminale ultimo. Da pilota a utente, in un declassamento forzato di responsabilità che va a garantire l’utente stesso.