Il termine “realtà virtuale” ha assunto molte declinazioni e la differenza l’ha fatta spesso la tecnologia con cui vi si è avuto accesso. La tecnologia è infatti l’elemento in grado di effettuare il balzo spazio temporale tra la dimensione reale e quella virtuale, ove tutto cambia: scenario, ambientazione, cognizione del sé, visuale. La grande novità odierna sta nel fatto che la tecnologia offre potenzialità nuove ed estremamente innovative, consentendo alla realtà virtuale di effettuare continui ed esponenziali balzi in avanti.
Nel 1957 il regista Morton Heilig creò Sensorama, un apparecchio pensato per immergere lo spettatore all’interno dell’esperienza cinematografica. Una sorta di cabina con tanto di sedia e un vano in cui infilare il viso per osservare immagini in tre dimensioni, ventilatori a simulare il vento, audio stereofonico e persino un sistema per riprodurre profumi e odori stimolando l’olfatto. La sua è stata un’intuizione, un’idea innovativa, troppo innovativa per quell’epoca. È trascorso più di mezzo secolo da allora, ma la voglia di trovare forme di intrattenimento sempre più coinvolgenti non è cambiata e oggi, grazie al progresso tecnologico, può percorrere nuove strade e concretizzarsi in soluzioni come quelle appartenenti alla categoria della realtà virtuale.
Realtà virtuale: sogno a occhi aperti
A rendere possibile la diffusione della realtà virtuale sono innanzitutto le evoluzioni dei dispositivi mobile: lo smartphone si è trasformato da unità dedicata esclusivamente alla comunicazione ad uno strumento versatile e polifunzionale, dotato di una potenza di calcolo paragonabile a quella dei tradizionali computer e in grado di assolvere al compito di schermo per l’intrattenimento. Da qui l’idea di sfruttarne il display all’interno di un visore, posizionandolo a pochi centimetri dagli occhi e dividendolo in due parti distinte per simulare la stereoscopia. Un po’ come avviene al cinema con le pellicole 3D. Sono nati così prodotti come Cardboard di Google e Gear VR di Samsung, essenzialmente dei box con un alloggiamento che ospita il device.
Soluzioni più evolute (e di conseguenza più costose) sono invece quelle rappresentate da Oculus Rift, PlayStation VR o HTC VIVE, veri e propri device stand-alone con un’architettura hardware ottimizzata per ridurre al minimo lag potenzialmente fastidiosi e per tracciare in tempo reale i movimenti della testa. Un sogno ad occhi aperti, con enormi potenzialità sia per il gaming che per l’entertainment.
Non solo divertimento
Se il focus principale di chi opera nel settore VR rimarrà quasi certamente quello legato all’intrattenimento, le potenzialità di questi sistemi si spingono ben oltre la fruizione dei contenuti multimediali e l’esecuzione dei titoli videoludici. Un primo esempio arriva dai laboratori di Mountain View: Google ha sviluppato, per HTC VIVE, un software chiamato Tilt Brush. Può essere paragonato allo studio virtuale di un artista, che trasforma il mondo intorno all’utente in un enorme spazio creativo, una tela interattiva su cui dipingere liberamente e dare sfogo alla propria creatività senza alcuna limitazione. Il risultato è quello visibile di seguito.
C’è poi chi, come il team del Janelia Research Campus di Ashburn (Virginia), si è ispirato a questo tipo di sistemi per mettere in campo un tipo inedito di ricerca in ambito medico: ha dotato alcune cavie da laboratorio di piccoli pannelli a contatto con i baffi degli animali, così da simulare stimoli sensoriali ben precisi e misurarne le reazioni. L’obiettivo è quello di studiare il processo di apprendimento dei mammiferi, per meglio comprendere l’origine e l’evoluzione di patologie come l’Alzheimer.
I colossi hi-tech e il mondo VR
Per capire in che modo i sistemi VR rappresentino la next big thing dell’universo tecnologico è sufficiente pensare a quanto i big del mercato hi-tech stiano puntando su questo ambito. Nel 2014, Facebook ha acquisito Oculus con un investimento pari a due miliardi di dollari, facendo proprie la tecnologia e le proprietà intellettuali dell’azienda. GoPro ha fatto altrettanto con Kolor e Apple ha puntato su Metaio (startup in verità più attiva sul fronte AR). Sul fronte e-commerce e shopping online, eBay ha realizzato un’esperienza di acquisto virtuale e Amazon punta alla creazione di un team dedicato.
Tutto questo senza dimenticare l’impegno di Google. Oltre al già citato Cardboard, il gruppo di Mountain View ha presentato la piattaforma aperta Daydream che consentirà a parter OEM e sviluppatori di offrire sia device che software realizzati ad hoc. In altre parole, prevedere che nel corso dei prossimi anni la realtà virtuale entrerà prepotentemente a far parte delle vite degli utenti non è affatto un azzardo.
Piattaforma per il futuro
Come tutte le tecnologie al debutto, anche quelle legate alla realtà virtuale necessitano di perfezionamenti e ottimizzazioni. Ciò che si è visto finora non rappresenta che la punta dell’iceberg. Entro pochi anni i primi visori giunti sul mercato sembreranno apparecchiature ormai tecnologicamente obsolete e superate, rimpiazzati da modelli più comodi da indossare, maggiormente rispettosi dell’apparato visivo e più economici.
Le enormi potenzialità di questo ambito, ancora perlopiù inesplorate, non sono però da ricercare nelle specifiche dei dispositivi, bensì nella varietà e nella completezza di contenuti e applicazioni. Il visore sarà semplicemente un’interfaccia, una piattaforma, una porta d’accesso per l’utente verso mondi e contesti alternativi. A sviluppatori, software house, filmmaker e creativi spetterà il compito di concretizzare idee e intuizioni, di spingere sul pedale dell’innovazione per aggiungere una dimensione a quelle che oggi sono le frontiere coinvolgimento multimediale. Sarà in ogni caso importante trovare un punto di equilibrio, tra l’universo reale e quello VR, per evitare che strumenti capaci di offrire nuove modalità di intrattenimento e comunicazione possano spingere all’isolamento. Andrà cercata un’armonia tra i due mondi, ciò che forse non si è riusciti a fare con il boom dei dispositivi mobile, che anziché favorire l’interazione tra le parti finiscono talvolta con il creare distacco.
L’imaging si adatta
Per creare contenuti, ovviamente, sono necessari strumenti appositi. Per questo produttori da sempre attivi nel settore dell’imaging stanno sperimentando nuove soluzioni per l’acquisizione di immagini e filmati. Nascono così videocamere a 360 gradi e fotocamere capaci di catturare scatti che circondano completamente il punto di osservazione. Tutto ciò che è intorno all’obiettivo viene immagazzinato e assemblato poi in modo tale che in fase di riproduzione sia l’utente stesso a scegliere in quale direzione guardare, ruotando la testa in modo naturale.
La sincronizzazione tra i movimenti del corpo e l’immagine visualizzata è uno degli elementi fondamentali per valutare il tasso di qualità dell’esperienza di realtà virtuale vissuta: maggiore è la sincronizzazione e maggiore è la possibilità che l’utente possa “dimenticare” di essere all’interno di una realtà parallela, potendo così abbassare le proprie resistenze per calarsi completamente all’interno della dimensione virtuale. La definizione delle immagini e i tempi di lag possono dunque essere pregiudizievoli della qualità nell’esperienza vissuta, limitando pesantemente i risultati conseguibili qualora l’utente non riesca ad abbandonarsi al “sogno”. L’evoluzione in tal senso è rapidissima: immagini sempre più definite e tecnologie in grado di velocizzare l’elaborazione delle stesse sono elementi in grado di facilitare il miglioramento dell’esperienza di realtà virtuale ad una velocità ben più ampia di quanto questa tecnologia non ha sperimentato dal secolo scorso ad oggi.
Realtà virtuale vs. realtà aumentata
Può tal volta accadere di confondere erroneamente realtà virtuale e realtà aumentata. Sebbene i due approcci alla fruizione dei contenuti possano coesistere, nascono da principi differenti: le tecnologie VR creano intorno all’utente un ambiente che non presenta alcun legame con il mondo reale, occupando l’intero campo visivo dell’utente per proiettarvi informazioni o immagini attraverso uno o più display, mentre quelle AR sovrappongono dati, ologrammi o elementi di altro tipo a ciò che si vedrebbe non indossando il dispositivo.
Per capire in cosa consiste la differenza in termini concreti, Google Cardboard, HTC VIVE o Oculus Rift sono dispositivi per la realtà virtuale, poiché coprono interamente il campo visivo, mentre Google Glass o Microsoft Hololens possono essere ricondotti al segmento della realtà aumentata in quanto non impediscono la visione di ciò che circonda l’utente, ma si limitano ad arricchirla (o aumentarla, appunto) proiettando elementi su un display trasparente.
Realtà virtuale e realtà aumentata sono destinate a rimanere offerte in competizione fintanto che non troveranno le rispettive competenze e i rispettivi ambiti. In entrambi i casi la corsa all’innovazione è serrata, ma con ritmi differenti: Google Glass si è arenato dopo il grande fascino iniziale, mentre Microsoft Hololens ha ancora molto da dimostare; per contro i visori per la realtà virtuale iniziano a veicolare i primi contenuti e il coinvolgimento di realtà come Facebook non può far altro che portare nuova ed ulteriore linfa a questo versante del “sogno a occhi aperti”.
Tuttavia realtà virtuale e realtà aumentata rimangono elementi complementari e non sovrapponibili: da una parte v’è una visione alternativa alla realtà, che quindi rinuncia intrinsecamente alla realtà stessa; dall’altra c’è una visione potenziata della realtà, dunque un’offerta che prescinde inesorabilmente dalla realtà stessa. La competizione odierna è dunque soltanto apparente: si tratta di ambiti che stanno cercando di definire il proprio perimetro di competenza ed entro pochi anni la situazione sarà ben più chiara su entrambi i fronti.