Gli attuali processori, soprattutto quelli impiegati in ambito mobile, devono assolvere a due funzioni: garantire una potenza di calcolo sufficiente per l’esecuzione delle applicazioni più avanzate e mantenere le dimensioni compatte. Questo ha portato alla realizzazione di chip come quelli integrati in smartphone o tablet, in cui oltre un miliardo di transistor sono posizionati in uno spazio di pochi centimetri quadrati. Tutti questi elementi, che funzionano come un’interminabile serie di interruttori, devono essere collegati tra di loro.
Il materiale utilizzato oggi per le connessioni è il rame. Si calcola che nelle più recenti CPU ci siano circa 100 Km di cavi dal diametro impercettibile ad occhio nudo. Il rame non è però il materiale più adatto, poiché piuttosto fragile nonostante l’ottima capacità di trasmettere segnali elettrici anche a temperature elevate. I ricercatori sono dunque intenzionati a scoprire nuove soluzioni per il futuro. Il grafene, di cui si è già parlato più volte, potrebbe essere una delle strade da percorrere. Il team del SLAC National Accelerator Laboratory di Stanford indica invece un’altra via: lo stanene. Il nome suonerà nuovo ai più, in quanto si tratta a tutti gli effetti di un’assoluta novità.
Per capire di cosa si sta parlando è possibile ricorrere a un confronto: se il grafene è costituito da un singolo strato formato da atomi di carbonio, lo stanene (il nome deriva dal latino “stannum”) ha la medesima struttura, ma l’elemento base è lo stagno. La sua qualità principale è rappresentata dal fatto di essere un Isolante topologico, ovvero si comporta al proprio interno come un isolante elettrico, manifestando però stati conduttivi sulla superficie. Il gruppo di ricerca ha inoltre scoperto che, aggiungendo delle particelle di fluoro, il materiale mantiene un’efficienza pari a quasi il 100% nella trasmissione del segnale fino ad una temperatura di 100° C.
A livello teorico, la sostituzione del rame con connessioni realizzate in stanene all’interno dei chip potrebbe ridurre in modo significativo i consumi (con ovvi benefici in termini di autonomia dei dispositivi), incrementare le prestazioni e migliorare la solidità strutturale delle componenti hardware. Difficilmente si potrà assistere ad una rivoluzione di questo tipo nel breve periodo. Il tutto è ancora in fase sperimentale e di studio. L’obiettivo da raggiungere è comunque ben chiaro: trovare soluzioni innovative che possano in futuro far compiere un significativo balzo in avanti alle tecnologie impiegate dai chipmaker e che sappiano poi tradursi in vantaggi concreti per l’utente finale.