Il board of directors di Apple non mi stima a sufficienza. Furono queste le parole pronunciate dinanzi alla Securities & Exchange Commission (SEC) da Steve Jobs per spiegare la propria posizione nell’intricata vicenda della stock option di Cupertino iniziata nel 2006. Sul CEO della società circolarono non pochi dubbi sul suo ruolo nella retrodatazione di alcuni pacchetti azionari per ottenere maggiori benefici finanziari.
A distanza di alcuni mesi dall’ultimo capitolo sulla vicenda, la rivista statunitense Forbes ha da poco riaperto la questione stock option rivelando i contenuti delle deposizione fornita da Steve Jobs alla SEC nel marzo del 2008, quando al CEO di Apple fu richiesto di chiarire ruolo e responsabilità di Nancy Heinen, uno dei dirigenti maggiormente coinvolti nell’affaire sui pacchetti azionari. Jobs fu interrogato per circa tre ore dagli ispettori della Securities & Exchange Commission e fornì alcuni importanti particolari sui suoi rapporti con il board of directors e le conseguenti decisioni di carattere finanziario.
Nella deposizione, Jobs dichiarò che nel 2001 non si sentiva particolarmente apprezzato dal consiglio di amministrazione. Per questo motivo il CEO aveva deciso di richiedere 7,5 milioni di azioni come riconoscimento per il lavoro svolto e come valida soluzione per compensare le forti perdite dei pacchetti azionari già posseduti a causa dell’esplosione della bolla finanziaria legata al Web e alla new economy. Quei 7,5 milioni di stock option si sarebbero poi rivelati retrodatati.
«Non si trattava tanto dei soldi. A tutti piace ricevere il giusto riconoscimento dai propri colleghi. Avevo la sensazione che il board non stesse facendo esattamente la medesima cosa con me. […] Mi sentivo come se non ci fosse nessuno che pensasse a me là fuori. Così ho voluto che loro facessero qualcosa per me, e dunque ne abbiamo parlato. Stavo svolgendo un buon lavoro, ne ero convinto» dichiarò Jobs alla SEC durante la deposizione.
Stando a quanto dichiarato dal CEO di Cupertino, raggiungere un accordo con il consiglio di amministrazione di Apple non fu però semplice. Qualcosa iniziò a muoversi durante il mese di agosto 2001, ma solamente nel dicembre dello stesso anno Jobs ottenne il riconoscimento desiderato, quando ormai le azioni della società avevano aumentato il loro valore; da qui la necessità di retrodatare i pacchetti azionari per avvicinarli al loro valore di agosto, quando il board diede il suo primo via libera all’operazione. La procedura, poco trasparente, fu portata a termine modificando anche alcuni verbali dei precedenti incontri del consiglio di amministrazione.
Nella sua lunga deposizione alla SEC, Jobs dichiarò di essere venuto a conoscenza della falsificazione dei verbali solamente quando il caso divenne di dominio pubblico. Una affermazione fino a ora ritenuta poco credibile da alcuni analisti, considerato il ruolo di alto profilo rivestito da Steve Jobs all’interno di Apple. Il sospetto è che il CEO di Apple fosse in realtà al corrente della vicenda e fosse determinato a mantenere una posizione maggiormente defilata all’interno del board per tutelarsi nel caso di ulteriori indagini da parte degli organismi di controllo. Gli sviluppi successivi sembrano aver dato ragione alla linea difensiva scelta da Steve Jobs e da buona parte della società, che ha fatto quadrato fin da subito intorno al suo CEO.