Lo streaming video è sempre più popolare fra gli spettatori, ma la moltiplicazione dei servizi e degli abbonamenti potrebbe rappresentare un importante freno all’espansione di questo mercato. È quanto rivela una nuova ricerca condotta negli Stati Uniti, pronta a evidenziare come l’utente medio non voglia investire più di 20 dollari al mese per le proprie necessità di intrattenimento: oltre a questa soglia, infatti, la spesa non è considerata sostenibile.
L’apparizione sul mercato di numerose piattaforme di streaming, da Netflix ad Amazon Prime Video, ha profondamente modificato le abitudini di visione degli spettatori. Non dovendo più rispettare i palinsesti televisivi, gli utenti possono approfittare del loro show preferito in qualsiasi momento della giornata, scandendo con comodità tempistiche e, soprattutto, decidendo quanti episodi guardare in una singola sessione. Questo vantaggio, però, è controbilanciato da un problema non da poco: con cataloghi sempre più esclusivi e allettanti, il consumatore è costretto ad abbonarsi a più servizi contemporaneamente per poter aver accesso a tutti i contenuti di proprio interesse. Una necessità che aumenta ovviamente la spesa mensile, rendendo il modello insostenibile sia nel breve che nel lungo periodo.
Stando ai dati raccolti dalla startup di streaming Phenix, nel recente Future of Streaming Report, gli utenti statunitensi vorrebbero investire nelle piattaforme di streaming una cifra massima di 20 dollari al mese, da considerarsi complessiva fra i vari servizi esistenti. La soglia di prezzo è condivisa dal 42% dei consumatori a stelle e strisce, mentre il 32% non si sente pronto a spendere denaro per l’intrattenimento domestico e solo il 26% potrebbe valutare più di 20 dollari ogni 30 giorni.
Se si considera come il prezzo medio per una sottoscrizione standard alla singola piattaforma sia all’incirca di 10 dollari, è facile comprendere come il consumatore si ritroverà a poter approfittare solo di due servizi contemporanei, non potendo così disporre di un’offerta sufficientemente completa. E, in mancanza di alternative, il rischio è che si rivolga alla distribuzione illecita sul web pur di colmare le lacune di catalogo. Fortunatamente, i principali servizi di streaming non sembrano aver imposto particolari limitazioni alla condivisione degli account, non almeno al momento, quindi di sovente la spesa viene divisa con i parenti o con gli amici.
Non è però tutto: per quasi il 40% degli statunitensi, per quanto i cataloghi siano molto allettanti, i servizi di streaming non possono ancora essere considerati sostitutivi alla pay tv, per via di alcuni intoppi tecnici. In molti lamentano rallentamenti, buffering e riduzione di qualità, soprattutto nelle ore di maggiore congestione della rete: di questi, il 12% pagherebbe di più al mese, se latenza e buffering potessero essere esclusi.