Tirato prepotentemente in ballo a seguito del suicidio dell’attivista Aaron Swartz, il MIT (Massachusetts Institute of Technology) ha pubblicato una pubblica presa di posizione sul caso. Lo ha fatto dall’alto del proprio blasone e lo ha fatto probabilmente con la migliore delle reazioni che avrebbe potuto opporre in queste ore a quanti attribuiscono al MIT gravi colpe per il gesto estremo del ragazzo.
Aaron Swartz era alle prese con un clamoroso caso legale che vedeva il MIT dalla parte dell’accusa. Tutto nasce con l’azione di Swartz, il quale a suo tempo si appropriò di milioni di documenti accademici per immetterli liberamente in circolazione a favore della libera conoscenza. La questione affonda le proprie radici nei principi che l’attivista portava avanti, ma la vicenda si è poco per volta aggravata da prese di posizione dure e tali da portare il ragazzo a rischiare una lunga detenzione. La famiglia di Swartz ha collegato direttamente il suicidio al caso legale, ricordando quanto persecutoria fosse l’azione contro di lui e quanto pesante potesse essere la privazione della libertà per chi ha speso la propria intera e breve vita ad inseguire un ideale.
Il suicidio ha messo il MIT con le spalle al muro. Ed il MIT ha risposto. Non lo ha fatto però né effettuando un improbabile e sgangherato passo indietro (in questa fase sarebbe stata la più clamorosa delle autoreti), né contrattaccando per tutelare la propria immagine (l’emotività del momento sconsigliava anche improvvide prove di forza). La risposta del MIT è piuttosto attendista: l’istituto promette di utilizzare il gesto di Swartz come occasione di riflessione ed esprime sconcerto per quanto accaduto. Il MIT, insomma, entrerà nel merito soltanto più avanti nel tempo: prima urge una seria riconsiderazione dell’intero caso:
Voglio esprimere con chiarezza che io e tutti noi al MIT siamo estremamente dispiaciuti per la morte di un giovane promettente che ha toccato la vita di tanti di noi. Mi addolora pensare che il MIT abbia giocato un ruolo in una serie di eventi che sono sfociati nella tragedia.
Non intendo riassumere qui la complessità degli eventi degli ultimi 2 anni. Ora viene il tempo per tutti quelli coinvolti di riflettere sulle proprie azioni, e questo include ognuno di noi al MIT. Ho chiesto al prof. Hal Abelson di guidare una analisi del coinvolgimento del MIT dal momento in cui abbiamo subito la prima attività inusuale sul nostro network nel 2010 fino ad oggi. Ho chiesto che questa analisi descriva le opzioni che il MIT aveva e le decisioni che sono state prese, al fine di capire e imparare dalle azioni intraprese. Condividerò il report con la community del MIT quando lo riceverò.
Nel frattempo sono già altre le attività che il MIT dovrebbe monitorare sui propri server. A poche ore dal suicidio, infatti, e nel mezzo dell’ondata di polemiche che l’istituto ha iniziato a subire, gli Anonymous hanno messo la propria firma sul caso attaccando il MIT per defacciarne il sito e portare al mondo un messaggio.
Nella pagina apparsa sul sito ufficiale del MIT compare un appello ad una riforma delle leggi, del copyright e della proprietà intellettuale. Il testo punta il dito contro ingiustizie ed oppressione che hanno caratterizzato la vicenda e si auspica che l’esempio di Aaron Swartz possa servire per accompagnare i legislatori verso normative meno censorie, più eque e garanti del diritto dell’accesso al Web di ognuno.
Sebbene da più parti si fosse chiesto di stemperare i toni sul caso, e sebbene l’invito al rispettoso silenzio avesse subito preso piede, inevitabilmente il gesto forte dell’attivista ha rappresentato il megafono di tutte le sue battaglie antecedenti. Ed ora i nodi vengono giocoforza al pettine, tutti assieme.