Se nel titolo l’ho sparata grossa correggetemi, ma a me sembra che nessun videogioco abbia mai applicato in questo modo i dettami del postmoderno (la rielaborazione di elementi caratteristici di una forma d’arte o di comunicazione ormai diventati pop, cioè padroneggiati da tutti in virtù di una loro sovraesposizione, con la finalità di costruire senso nuovo). E lo fa sia con riferimento al mondo dei giochi che a quello del cinema (cioè del racconto).
In Super Mario Galaxy quasi ogni livello (identificato nel gioco con una galassia) fa riferimento a grandi videogiochi del passato, oltre ovviamente ad una mole spropositata di riferimenti ai passati episodi della saga di Mario.
Le Galassie rielaborano di volta in volta (in maniera più o meno palese) le astronavi di Asteroids, i blocchi del Tetris, gli stessi punti interrogativi di Super Mario Bros., i primi flipper virtuali, le avventure grafiche, i primi portatili che non erano videogiochi ma una specie di flipper portatili, Bubble Bubble e mille altre cose.
Ma tutto è riutilizzato per fare cose nuove, non è copiare ma è riusare cose che ormai tutti conoscono (come i blocchi del Tetris). In questo senso è postmoderno.
Ci sono anche delle sequenze di racconto che nel gioco sarebbero frutto della lettura di una favola che sono identiche a Il Piccolo Principe per disegni, tipo di racconto, sentimentalismo e emozioni coinvolte (e la dinamica da piccoli pianeti di tutto il gioco aiuta in questo senso).
Poi siccome è un po’ di tempo che Super Mario Galaxy mi ha intrappolato, l’ho ormai finito a livello di trama, ma mi mancano ancora molti obiettivi da conquistare e dunque non mi ritengo soddisfatto anche perchè si intuisce che nonostante io abbia raggiunto l’obiettivo principale (liberare la principessa) la narrazione dovrebbe continuare. E qui intervengono ancora altri riferimenti.
Mai prima d’ora per i giochi Nintendo il racconto era stato così coinvolgente (nemmeno per il più complesso ma meno empatico Zelda: Ocarina Of Time), e non parlo di una trama più originale del solito (siamo dalle parti della solità lineare ripetitività) ma di come sono raccontati i rapporti tra i personaggi e dell’uso che si fa delle musiche e delle parole. Si tratta sempre di recuperare la principessa rapita ma stavolta si sente il senso di liberazione e molto altro.
Lo spazio, i pianeti, il volo, e la tranquillità che ogni tanto si respirano sono resi con una forza e al tempo stesso una leggerezza di tocco rari.
Mai come ora la Nintendo aveva puntato così tanto sull’empatia e mai così tanto sul cinema. Ci sono palesi riferimenti al cinema d’animazione di Hayao Miyazaki, a partire dalle musiche (coinvolgenti da morire e quasi identiche in molti punti a quelle di La Città Incantata) e dall’uso che se ne fa, alla dimensione animista e sentimentale che non si basa sui drammi ma sulla positività.
Come in Miyazaki infatti nel raccontare le avventure di Mario e nel mostrare come si relaziona agli altri il gioco applica un sentimentalismo che è dato dai sentimenti positivi e non da quelli negativi (come il dispiacere per un lutto o la solitudine…) e che esclude rigorosamente la sensualità. C’è un momento addirittura in cui Mario e la Principessa volano esattamente come Haku e Chihiro alla fine di La Città Incantata.
C’è inoltre una visione complessa di bene e male per la quale alla fine anche il male ha delle parti di bene che verranno fuori, non c’è un conflitto propriamente detto (nonostante i combattimenti) ma una soluzione armonica per un nuovo equilibrio e non la soluzione del medesimo (cioè buono sconfigge cattivo e il buono rimane buono e il cattivo rimane cattivo).
Il gioco, va detto, per quanto coinvolgentissimo è un’evoluzione di Mario64. Dal punto di vista delle possibilità di gioco non presenta innovazioni ma variazioni sul tema (in più ovviamente c’è tutta la componente di interazione tramite il wiimote, ma quello non è il gioco, è la console). Mario fa le stesse cose, deve collezionare stelle, e affronta mondi diversi da una schermata di partenza in cui girare (in Mario64 era il castello qui è una più complessa nave/osservatorio).
La cosa rivoluzionaria è come le medesime cose di sempre sono raccontate, stavolta con espedienti da cinema nonostante non ci siano le lunghe sequenze di racconto che spesso animano i videogiochi.
Il punto di contatto con il cinema infatti non è nel mostrare il racconto della storia come fosse un film ma nel prendere gli espedienti che si usano al cinema per rendere coinvolgente un rapporto tra due personaggi e adattarli al linguaggio dei videogiochi.
Il risultato è il primo videogioco veramente postmoderno che abbia mai visto, il primo che si guarda attorno e guarda al passato dei videogiochi, alla musica e ai modi in cui altre arti (cinema e letteratura principalmente) raccontano le storie.