Supercomputer: IBM di nuovo prima

Con la pubblicazione della lista aggiornata dei Top500, l'azienda americana torna in testa alla speciale classifica dei supercomputer con Blue Gene/L: velocità mostruose ma con dimensioni ridotte e meno consumo di energia. In arrivo le versioni commerciali.
Supercomputer: IBM di nuovo prima
Con la pubblicazione della lista aggiornata dei Top500, l'azienda americana torna in testa alla speciale classifica dei supercomputer con Blue Gene/L: velocità mostruose ma con dimensioni ridotte e meno consumo di energia. In arrivo le versioni commerciali.

Si chiama Blue Gene/L. Lo fa IBM. Ed è il computer più veloce
del mondo. Che il ‘mostro’ su cui l’azienda americana sta lavorando da quattro
anni fosse sulla strada che porta al primato, si sapeva da diversi mesi. Mancava
però una sanzione importante, quella ufficiale, quella rilasciata ogni
sei mesi dal gruppo di esperti che cura la classifica dei Top500 e giunta puntualmente
martedì scorso. L’Earth Simulator di NEC scivola dalla prima alla
terza posizione, superato anche da Columbia, il super-computer prodotto
da SGI per la NASA.

Il prototipo di Blue Gene/L che ha ridato ad IBM il primo posto di questa speciale
classifica, è destinato al Lawrence Livermore National Laboratory,
una struttura di ricerca associata al Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti.
E non è ancora in versione definitiva: nella lista ufficiale dei Top500
figura infatti come beta system.

Quando si valutano sistemi di questo tipo è naturale fare riferimento
alle prestazioni. Nella configurazione sottoposta al test di velocità Linpack,
Blue Gene/L ha toccato il limite di 70,7 teraflop. Significa che è in grado
di eseguire 70,7 trilioni di operazioni al secondo. Gli uomini di IBM si aspettano
di toccare nella configurazione definitiva a 64 rack l’incredibile soglia dei
360 teraflop.

Ma sono altri gli elementi di svolta messi in rilievo dalla stessa IBM. Intanto
le dimensioni, ridotte almeno di un decimo rispetto all’Earth Simulator.
Quindi il consumo di energia, ridotto anch’esso in maniera drastica al fine di
evitare la caduta di prestazioni dovuta al surriscaldamento. E poi il ‘motore’:
si basa su migliaia di processori PowerPC (utilizzati su milioni di console per
videogame) in versione dual core. Non si tratta certo dei processori più
veloci sulla piazza, ma il lavoro sulla loro integrazione e sull’architettura
generale del sistema ha fatto sì che questo limite venisse superato brillantemente.

È naturale chiedersi quanto costi una simile meraviglia. Il computer
destinato al Lawrence Livermore, è valutato 100 milioni di dollari. Proprio
sul versante commerciale IBM si appresta ad annunciare una novità. In genere,
questi super-computer vengono prodotti su commissione per enti di ricerca e industrie
che hanno bisogno di enorme potenza di calcolo nei più diversi ambiti,
dalla geologia (vedi l’Earth Simulator) alla ricerca sulla sintesi delle proteine.
L’azienda americana, però, ha questa volta deciso di fare il passo verso
una versione commerciale di Blue Gene/L. La linea si chiamerà eServer Blue
Gene e con ‘appena’ 1,5 milioni di dollari si potrà acquistare un modello
base con 1 rack e 1.024 processori, in dimensioni che l’azienda promette di ridurre
ulteriormente per andare incontro alle esigenze dei nuovi potenziali clienti.
Voci raccolte dal New York Times parlano di contatti con diverse aziende, tra
cui Google.

E per il futuro cosa dobbiamo aspettarci? Negli stessi giorni in cui IBM riguadagnava
il primato perduto, la rivista Science ha pubblicato un articolo molto
interessante curato da scienziati delle università di Manchester e Chernogolovka
(Russia). Le frontiere lì prospettate sono quella di processori formati
da un’unica molecola e quella dei transistor balistici, che dovrebbero consentire
un flusso degli elettroni senza collisioni, quindi a velocità enormemente
più elevate rispetto a quelle possibili con gli attuali semi-conduttori.
Come? Grazie ad un materiale formato da atomi di carbonio chiamato grafene
e che dagli studi finora effettuati ha rilevato capacità di conduzione
mai riscontrate in altri materiali. Il problema è ora quello di riuscire
a produrre il grafene in forme e dimensioni utilizzabili a livello industriale.
Secondo i responsabili del team di ricerca ci si potrebbe arrivare nel giro di
una decina di anni.

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