Anche Suzuki, il quarto produttore di auto del Giappone, è inciampato sui controlli delle verifiche di emissioni inquinanti dei suoi veicoli. Trattasi di un guaio molto meno grave di quello di Mitsubishi, ma in questo periodo in cui tutte le case automobilistiche sono sospettare di barare sulle emissioni inquinanti la notizia ha comunque portato al crollo della quotazione del gruppo automobilistico giapponese.
A seguito delle prime indiscrezioni, Osamu Suzuki, 86 anni, presidente ed immagine storica del gruppo Suzuki, si è recato in tutta fretta presso il Ministero dei Trasporti, dove, affiancato da tre dirigenti dell’azienda ha confermato che l’azienda ha utilizzato metodi diversi da quelli previsti dalla regolamentazione giapponese su 16 modelli venduti nel Sol Levante per i test sia sulle emissioni che sui consumi. I veicoli coinvolti sarebbero circa 2.1 milioni a partire dal 2010. Il problema coinvolgerebbe, però, solo i veicoli venduti all’interno del mercato giapponese e non le auto esportate all’estero.
Tuttavia, per Suzuki si profilerebbe una situazione molto meno pesante di quella di Mitsubishi in quanto test regolari hanno evidenziato che le auto non superano i limiti di emissione imposti dalla legge. Dunque, Suzuki non avrebbe manipolato i test ma avrebbe utilizzato solo strumenti di rilievo non conformi a quelli di legge. Dal punto delle emissioni, le loro macchine sarebbero, dunque, in regola.
Non ci sarebbe, dunque, un vero dolo ma la figuraccia rimane, soprattutto oggi con lo scandalo del dieselgate anche sotto gli occhi di tutti quanti. La scoperta dell’irregolarità dei test della Suzuki sarebbe emersa a seguito dell’ordine imposto alle case automobilistiche da parte del Ministero dei Trasporti giapponese di verificare con accuratezza i metodi per i test sull’efficienza dei motori.
Nel frattempo, il presidente di Mitsubishi, Tetsuro Aikawa, ha dato le dimissioni sulla scia dello scandalo dell’azienda. Per risollevarsi a seguito dello scandalo, Mitsubishi ha raggiunto un accordo secondo cui cederà il 34% del capitale a Nissan, che però avrà la facoltà di svincolarsi se lo scandalo dovesse allargarsi ulteriormente.