Tecnocracy

Internet al potere, come strumento di lotta e di liberazione, come viatico verso una nuova libertà, una nuova democrazia ed un nuovo modo di pensare la politica e la società. Questa è la tecnocrazia. Ma non è la soluzione di tutti i mali. Anzi.
Tecnocracy
Internet al potere, come strumento di lotta e di liberazione, come viatico verso una nuova libertà, una nuova democrazia ed un nuovo modo di pensare la politica e la società. Questa è la tecnocrazia. Ma non è la soluzione di tutti i mali. Anzi.

Con il senno del poi diremo che in questi anni si è consumata una frattura. Oggi la respiriamo giornalmente e la viviamo in tutta la sua drammatica evidenza, ma ancora non sono chiare le conseguenze che sta comportando. È una frattura profonda, che coinvolge l’intera società e che tende ad una polarizzazione in cui la discriminante è l’uso o il non uso della Rete. Attorno a questa frattura c’è tanto, tantissimo: c’è una filosofia, c’è la pragmaticità degli interventi, c’è un modo di vedere la società e forti pressioni per cambiare quel che è il passato. La frattura è un taglio profondo, qualcosa di irreversibile che saprà cristallizzarsi in una vera e propria rivoluzione soltanto nel momento in cui quella è una pressione dal basso saprà diventare anche una involuzione dall’alto. Per questa metamorfosi il movimento dovrà trovare una maggiore maturità, una maggiore compattezza e da tutto ciò dovrà ricavarne una forza tale da imporre qualche rappresentante illuminato all’interno delle sale delle istituzioni.

La domanda che si impone è: c’è spazio per una nuova tecnocrazia?

Tecnocrazia: «Per differenziare la concezione ed il significato comunemente attribuiti al termine tecnici, intesi come persone esperte, specializzate o particolarmente preparate e qualificate nelle materie di propria competenza, è stato coniato il termine di tecnocrate per indicare colui che, pur senza essere un tecnico od uno specialista, sostiene la necessità di un primato della scienza e della tecnica sulla politica».

La storia è costellata di pressioni similari ed ogni singolo mezzo di comunicazione ha vissuto in qualche connivenza con il medium dominante del momento. Così stato per il telefono, così per la Radio, così per la televisione. Sempre e comunque il potere ha usato gli strumenti disponibili piegandoli al proprio servizio, mentre in questo momento sembra succedere il contrario: il potere, soprattutto in Italia, vede la Rete più come una minaccia che non come una opportunità. E questo crea uno spazio vuoto che, presumibilmente, prima o poi qualcuno tenterà di occupare portando in mano la bandiera del Web.

In Spagna ha preso forma il cosiddetto Partido de Internet (PID). I partiti “dei pirati” hanno già dato risultati interessanti in Europa, fino a far capolino anche in Italia. Beppe Grillo, nelle proprie invettive contro la politica vecchio modo, ha più volte inneggiato agli strumenti informatici ed alla rete come spunto strategico per la rivoluzione auspicata. È questo un incompleto elenco esemplificativo che vuol mettere in evidenza un movimento ampio unito ed identificato attorno allo stesso credo: la tecnologia può dare il via ad un nuovo stravolgimento del modo di vedere la politica e la società. Per rappresentare una vocazione simile, però, occorre anzitutto conoscere lo strumento, i suoi significati, i suoi contenuti valoriali e le relative possibili influenze. Bisogna esservi in stretto contatto, respirandone l’essenza.

In tutto e per tutto, però, è questa una forma di “tecnocrazia”, qualcosa che la storia ha già ripetutamente promosso nella forma e bocciato nella sostanza.

Mai, in passato, la tecnocrazia ha saputo imporsi. Tuttavia, più volte la cosa si è riproposta: la tecnocrazia fa parte del ciclo continuo della storia ed il suo ritorno evocativo legato alla Rete è pertanto qualcosa di ampiamente prevedibile e facilmente intelleggibile nella realtà odierna. La tecnocrazia nasce e cresce, però, con un vizio di fondo: vede lo strumento non come un mezzo, ma come un fine ultimo. Troppo facilmente la confusione prende forma sulle ali dell’entusiasmo, elevando a Sacro Graal quello che ad ogni effetto è invece solo e soltanto uno strumento meraviglioso. Quando alla meraviglia si aggiungono delle responsabilità, però, avviene il corto circuito: perchè la Rete non viene messa tutto attorno ad un obiettivo, ma diventa obiettivo stesso attorno al quale far ruotare tutto.

La Rete e tutta l’aura di tecnologie che vi ruota attorno, sta cambiando anzitutto il mercato. Sta cambiando il modo in cui è intesa la Privacy. Sta rendendo evidenti le fragilità del copyright, mette in discussione i circuiti chiusi della politica, pone inquietanti interrogativi circa vecchi assunti della moralità e del modo di interpretare i rapporti sociali, erode le basi di istituzioni secolari e manda in frantumi il business dei media rivali. La rivoluzione è già iniziata, ed è del tutto evidente. È però questa una rivoluzione senza leader e senza un filone culturale dominante, senza una espressione chiara e, soprattutto, senza una strutturazione che possa mettere dalla stessa parte tutti coloro i quali potrebbero mettere dalla propria parte una massa critica di persone pronte a lasciarsi rappresentare nel nome di questa nuova filosofia emergente.

Il terreno, insomma, sembra pronto affinché un nuovo riflusso tecnocratico prenda forma. C’è spazio affinché qualcuno possa prendere in mano la domanda che va formandosi per proporre una risposta che sappia costituirsi a proposta politica. Difficilmente il tutto potrà prendere il via da una espressione politica preesistente: se non si è “tecnici” (parola da intendersi in senso lato, ma con stretta aderenza alla tecnica come soluzione centrale), non si hanno gli elementi culturali necessari; difficilmente, al tempo stesso, si potrà costruire un polo di reale rappresentatività se si emerge dalla semplice tecnica: la politica è qualcosa di estremamente vario, organico, organizzato e multiforme.

Un “partito di Internet”, oggi, avrebbe inoltre uno scarso peso in conseguenza di un sistema elettorale che toglie incisività alle realtà minori per premiare le rappresentanze che interpretano nel migliore dei modi di bipartitismo che l’Italia ha deciso di abbracciare. Ma questo è un altro discorso, successivo ed eventuale.

Chi potrebbero essere i “rappresentanti della Rete”, dunque? Tecnici imprestati alla politica, oppure politici imprestati alla tecnica? Questi ultimi stanno muovendo le proprie pedine sperimentandosi su blog, Friendfeed e Twitter; i primi si muovo timidamente, senza riuscire a riunire una massa critica accettabile e senza reali ambizioni attuali (soltanto Beppe Grillo, in tutta la sua opinabile e vasta iniziativa, ha saputo dar forma ad una proposta propria ed è oggi la più ricca ed argomentata forma di tecnocrazia morbida e zoppa progettata nel nostro paese).

Nella buona e nella cattiva sorte, però, un sorso di tecnocrazia farebbe bene all’Italia. Se la Rete riuscisse ad alzare la voce per portare avanti la propria visione del mondo, sarebbe forse questo un antidoto giusto per rompere i meccanismi di un sistema politico che (è risaputo, ed è bipartizan: non si fa riferimento alla sola “videocracy”) vive gran parte della propria autorevolezza grazie ad uno stretto rapporto con il media dominante: la tv. Un sorso di tecnocrazia che nasce dalla Rete potrebbe portare ad una maggior consapevolezza, a nuove proposte, ad una ventata di aria fresca e ad una nuova competitività basata sulle voci delle nuove generazioni.

La tecnocrazia in sé non può essere un fine, ma può essere un valido strumento. Come e per estensione di Internet, del resto. Sia l’una che l’altro vanno presi per quello che sono, usati per ciò che possono offrire, cercati per quel che valgono e rifiutati se messi nelle mani di chi sta cercando soltanto una catapulta verso le masse (i parassiti sono dietro l’angolo, sempre e comunque). La Rete ha molto da dire, ed una tecnocrazia basata sulla Rete avrebbe oggi un significato serio. Potrebbe nascere, potrebbe trovare i propri attori e potrebbe strutturarsi: c’è lo spazio.

Con il senno del poi diremo che in questi anni si è consumata una frattura. Che ne è uscito un magma pieno di energia. E si sa: quando l’uomo ha saputo controllare l’energia, ne ha sempre ricavato inestimabile vantaggio. Ma se saremo stati capaci a controllare questa energia, lo sapremo dire soltanto con il senno del poi.

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