Tecnologia e giornalismo: chi vince? Facebook

Due panel su media e tecnologia: al festival di Perugia emerge tutta la preoccupazione per l'integrazione dei contenuti in Facebook, ma ormai è deciso.
Tecnologia e giornalismo: chi vince? Facebook
Due panel su media e tecnologia: al festival di Perugia emerge tutta la preoccupazione per l'integrazione dei contenuti in Facebook, ma ormai è deciso.

Tecnologia e giornalismo non sono mai stati tanto connessi, eppure si guardano ancora con sospetto, anche di fronte a segnali di integrazione globale che solo pochi anni fa erano impensabili. Al festival di Perugia due conferenze che una di seguito all’altra sono sembrate una staffetta: dalle grandi news corporation a Facebook, che con qualcuna di loro ha trovato un accordo per embeddare in esclusiva i loro articoli. Il punto è stabilire chi vince in questo cambiamento: i giornali, solo Facebook o entrambi?

Chi controlla chi nel mondo del giornalismo tech. Se lo sono chiesto Gregg Barber, Raju Narisetti, Jacqui Maher e Dan Gilmor, incalzati da Vivian Schiller. In pratica, il Washington Post, il Wall Street Journal, La BBC e la scuola Cronkite, insieme a una ex del New York Times. Questo panel insieme a quello di Andy Mitchell, a capo del media team di Facebook, hanno prodotto il buzzflow più ricco e interessante della seconda giornata del festival. La ragione è ovvia: in questo passaggio si sta giocando molto del futuro del giornalismo.

Gli editori come aziende, i giornalisti come…

Secondo Barber, direttore dei progetti digitali del Wash Post, i giornali devono ragionare come fossero aziende tecnologiche, capaci di cercare soluzioni innovative ed eventualmente produrle da sé, mettendole sul mercato e facendo business. Una visione condivisa anche dalla BBC, per la quale lavora Jacqui Maher, ingegnere che si preoccupa di integrare le piattaforme e garantire il massimo dell’efficienza tecnologica possibile al servizio della narrazione giornalistica.

Quanto però il giornalismo stesso stia sacrificando parte della sua natura non è chiaro a tutti, e secondo Dan Gilmor, paladino del giornalismo attivista e indipendente, la piega tecnologica del giornalismo – indotta dalla necessità di inseguire le piattaforme web sulla loro strada: velocità e coinvolgimento emotivo del lettore – sta nuovamente centralizzando quel che Internet teoricamente avrebbe dovuto disintermediare, cioè il rapporto tra buon giornalismo e lettori. «Perché i giornali siano tanto illogicamente entusiasti di regalare i propri contenuti a un social network, è una riflessione da fare»

Facebook newskeeper totale

Il passaggio dal primo al secondo panel è tutto in questa domanda: ma nell’accordo tra giornali e Facebook, allora, chi vince? Il responsabile delle partnerhip coi media della società californiana ha tenuto molto a prendere le distanze dall’idea che Facebook stia diventando un grande concorrente dell’informazione. Per lui, è una collaborazione nata per risolvere alcuni problemi tecnici, confessati anche da Narisetti pochi minuti prima in un’altra sede del festival: la fruizione dei contenuti in mobilità è ancora troppo lenta, i giornali non riescono a rispondere alla fame di informazione istantanea e di video (in crescita esponenziale nei prossimi tre anni, di ben 14 volte), l’80% dei millenials si informa esclusivamente tramite il social network.

Andy Mitchell, responsabile delle media partnership di Facebook, ieri al festival di Perugia ha parlato di come il social network lavora con le testate giornalistiche per migliorare l'approccio degli utenti.

Andy Mitchell, responsabile delle media partnership di Facebook, ieri al festival di Perugia ha parlato di come il social network lavora con le testate giornalistiche per migliorare l’approccio degli utenti.

Il keynote speech di Mitchell ha campionato i nuovi prodotti che Facebook garantisce ai media partner, tutti modificano sensibilmente la qualità del feed delle notizie di ciascun utente: l’interesting targeting crea un sottoinsieme più coerente di lettori e dove sperimentato ha aumentato di 80 volte la visibilità degli articoli; per le testate sportive Facebook si è inventato il post-end date, un tool che mette una data di scadenza ai contenuti su eventi sportivi che dopo un certo orario non compariranno più sul sito; la smart publishing consente agli editori stessi di condividere i post più interessanti valutando quanto sono stati apprezzati liberamente dagli utenti; l’analitica avanzata fornisce dati preziosi sul comportamento dei lettori.
https://twitter.com/ChiaraBorzi/status/588990786521456640
Insomma, l’impressione è che chiedersi se i giornali facciano bene oppure no a dare esclusive a Facebook sia una domanda già vecchia, considerando i prodotti ormai già nati per esaltarsi nell’ambiente social-mobile. In alcuni paesi si vedono editing straordinari nei video pensati per Facebook, sempre su questo social Vox – un caso particolare di mobile editor – ha realizzato una intervista al presidente Barack Obama che lascia a bocca aperta per il modo in cui è stato pensato il format.

Il pubblico in sala, però, ha mostrato di non apprezzare il distante ottimismo di Mitchell, che ha nascosto quanto sta davvero accadendo al mondo dell’informazione. Non è infatti possibile, al momento, stabilire se il modello sia win-win, questo per il semplice fatto che nessuno racconta come funziona. Si è capito che i giornali sono pronti a una cessione di sovranità dei contenuti, ma cosa ceda Facebook ancora nessuno lo sa: soldi? Dati dei lettori che le tecnologie dei rispettivi siti web non hanno? Al momento l’unica morale possibile è che un articolo di un giornale pubblicato su Facebook sarà visualizzato e introiettato dai lettori come fosse “di Facebook”. E questo non è poco.

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