Non si può combattere la mala-politica con la tecnologia: bisogna necessariamente fare politica. Non si può migliorare il mondo nascondendosi dietro ai bit: bisogna sporcarsi le mani nella gestione della cosa comune, cercare una rappresentanza e infondere nuovi principi laddove si rischia di veder soverchiati quelli che si ritengono fondamentali. L’anti-politica non può essere fatta di tecnocrazia, insomma, ma deve nutrirsi a sua volta di politica. La rivoluzione deve essere interna, insomma, e non può arrivare dall’esterno, né tanto meno dalla nuova elite dei “nerd”.
Non si può combattere la politica con nuova tecnologia ogni volta. A volte bisogna assicurarsi che la politica sia in linea con quel che la gente vuole. Molta gente si sta scagliando contro i politici e si pensa che debbano risolvere i problemi con la tecnologia. Questo tipo di sentimento arrogante verso il resto della società è un tantino disgustoso.
Ci si potrebbe aspettare parole di questo tipo da un anziano rappresentante del Partito Democratico, o forse da una qualche frangia del vecchio PDL. Ci si potrebbero aspettare argomentazioni di questo tipo da parte di anti-grillini della nuova ora, oppure da giornalisti pronti a scagliarsi contro i venti di anti-politica che spirano sempre più forti tra le mura del palazzo in Italia. Diventa quindi difficile leggere la firma in calce a queste tesi. Perché sono le tesi di Peter Sunde, co-fondatore della Pirate Bay, uno che ha affermato il suo nome sulla filosofia del peer-to-peer, è cresciuto sotto l’etichetta di “pirata” ed ora si trova a dover scegliere tra tecnologia e politica.
Peter Sunde: dalla Baia alla politica
E la sua scelta è precisa: il suo futuro è nella politica, con chiara vocazione europea, con un manifesto programmatico che ad oggi sembra stare al di fuori di ogni schieramento politico precostituito.
Peter Sunde si candiderà al Parlamento Europeo nella speranza di poter portare la propria voce nel massimo emisfero della politica del vecchio continente. Sunde avrebbe voluto candidarsi in autonomia, senza doversi affiliare ad alcuna rappresentanza, ma non sarà possibile: il regolamento non lo consente. C’è molta della filosofia del Movimento 5 Stelle in Peter Sunde, ma in alcuni punti c’è anche forte divergenza. Nel rapporto con la tecnologia, soprattutto: mentre il movimento ispirato da Beppe Grillo ha riposto nel credo tecnocratico e nella volontà “del popolo della rete” tutto il suo agire, Peter Sunde ha invece preso le distanze da un tale approccio, descritto nei peggio modi come un atteggiamento ipocrita e inconcludente. E le distanze vengono prese soprattutto dalla nuova elite dei “nerd”, «troppo pigri e arroganti per scendere in strada […] e per vedere che è importante non pensare di poter risolvere i problemi con la tecnologia».
Le parole di Sunde sono affidare a Wired UK in una intervista via Skype. L’ex-fondatore della Baia spiega che è “arrogante” pensare che con la tecnologia si possano risolvere tutti i problemi. Questo perché proprio la tecnologia è oggi strumento non solo nelle mani dei rivoluzionari, ma anche del “sistema”. Skype, Facebook, Google e molti altri strumenti stanno centralizzando il rapporto delle persone con la rete e questo tipo di architettura (del tutto opposta ai principi su cui è basato il peer-to-peer) porta ad un facile controllo della politica nei confronti delle popolazioni. Il rischio in prospettiva è di tornare all’epoca della Stasi, quando il controllo sulle comunicazioni e sulle persone metteva nelle mani dei potenti il pieno controllo della società instillando un clima di terrore.
La rivoluzione non parte dalla tecnologia
Ma se la tecnologia è nelle mani di chi si vorrebbe far fuori dalle sale de bottoni, ciò significa che la tecnologia non è più uno strumento sufficientemente affidabile per poter guidare una rivoluzione: «C’è la speranza di trovare la salvezza nella tecnologia, come un nuovo Messia, ma non è questo il caso. Non mi pare stia per succedere alcunché di rivoluzionario». Un po’ M5S e un po’ Pirate Party, insomma, ma con una divergenza probabilmente insanabile nel modo in cui l’occhio è posato sulla tecnologia.
Per questo Peter Sunde fa un passo oltre la tecnologia e pensa alla politica. E chiede a tutti di fare lo stesso: è il voto a poter cambiare la politica e non l’atteggiamento snob di chi si trincera dietro la tecnologia a poter scatenare una nuova rivoluzione. Per cambiare la politica, insomma, bisogna iniziare a metterci le mani su, così da portare avanti nuovi principi e fare in modo che l’Europa, il massimo corpo di rappresentanza che si ha a disposizione, possa influenzare le decisione dei singoli Stati sovrani. Si potrebbe malignamente stigmatizzare il pensiero di Sunde descrivendolo come figlio della “sconfitta” della Baia, un tentativo estremo di esorcizzare la sua fuga dalla legge attraverso una elezione al Parlamento Europeo, ma al tempo stesso il manifesto programmatico espresso ha toni sicuri e argomenti di innegabile forza. Ed il suo ribadire la rete come mezzo e mai come fine è probabilmente il radicamento più forte della sua iniziativa, fulcro di un progetto politico che ancora necessita di maturare prima di arrivare a definizione e compimento.
Se si ambisce ad un’Europa senza ACTA e pronta a legiferare per il bene dei suoi cittadini, insomma, occorre tornare alle basi della politica: il voto, la rappresentanza, la delega, la partecipazione. Perché sebbene tutto ciò sia alla base dell’organizzazione sociale del vecchio continente, sono in realtà in pochi ad occuparsi della cosa comune se non lamentandosi quando qualche strana normativa piove da Bruxelles sulla testa di qualche comunità locale. Prima di ufficializzare la propria candidatura, insomma, Peter Sunde stila un manifesto programmatico chiaro e originale, che attinge le basi nella storia culturale alle spalle della Baia, ma che va oltre raccogliendo il meglio che tale esperienza ha saputo offrire.
La recente rivalutazione del pensiero politico di Adriano Olivetti merita in tal senso un cenno, quale altra possibile chiave di lettura del fenomeno Sunde. Era infatti Olivetti, uno che sulla tecnologia aveva costruito tutto il suo impero, a ricordare il «primato dello spirito sulla materia e la conseguente sottomissione dell’economia e della tecnica ai fini e ai criteri politici». La nuova civiltà, &lauqo;lungi dall’essere schiava della tecnica, è posta al servizio di fini umani superiori». Stefano Rodotà, nell’analizzare gli scritti di Olivetti, ha più volte ribadito come il suo sapore anti-politico era in realtà anti-partitico nel senso che i partiti hanno fatto proprio nelle ultime decadi. In realtà Olivetti esprimeva un accorato appello affinché si tornasse alla politica, quella pura, quella vera, nella quale la tecnologia è subordinata alla risoluzione dei problemi senza farsi portatrice di alcun valore intrinseco.
L’inflazione tecnologica
A proposito della Baia, da dove proviene, Peter Sunde esprime una sorta di nostalgico pessimismo: non vede innovazione, così come non trova sano il fatto che lo sviluppo di BitTorrent sia ormai ai minimi termini: quando qualcosa è “buono abbastanza”, ecco che qualcosa di alternativo si propone sul mercato per soverchiare il vecchio e sostituirlo con il nuovo. La tecnologia, come la moneta, si svaluta: solo un continuo investimento può mantenerne in piedi il valore. Le alternative odierne ai torrent sono in Spotify e Netflix, ma secondo Sunde anche in questo caso si rischia la monopolizzazione del settore su strutture centralizzate nel quale il controllo sfugge dalle mani dell’utente finale. Il che è qualcosa di economicamente valido, ma comunque lontano dal necessario principio di libertà che occorrerebbe affermare a livello politico.
Se Spotify e Netflix sono di per sé servizi di buona qualità, in realtà c’è una malcelata forma di controllo alle spalle che impedisce di guardare a tali soluzioni come un orizzonte sereno. Se è una major a controllare le licenze, e quindi un servizio a gestire cosa si possa e cosa non si possa ascoltare, significa che la libertà dell’utente è soltanto un’illusione. Se qualcuno può disattivare da remoto la possibilità di ascoltare un brano per motivi di varia natura, significa che il mercato ha sì compiuto un passo avanti, ma al tempo stesso la libertà ha compiuto un passo indietro. Se si parla di musica, si parla di cultura: se il controllo sulla cultura è ancora una volta nelle mani di grandi gruppi che ne centralizzano la distribuzione, allora significa che le nuove tecnologie non hanno in realtà evoluto quelle precedenti, anzi.
La tecnologia non è dunque la soluzione. La politica invece può esserlo. Peter Sunde, dopo aver tentato con la prima, ci proverà con la seconda. Il suo reale spessore politico è tutto da dimostrare, ma l’ispirazione da cui trae moto merita attenzione: l’intuizione potrebbe far breccia tra quanti, delusi dalle discrepanze dell’anti-politica, vorranno tentare un approccio più formale, ma altrettanto diretto, ad una nuova rivoluzione.