Telecom Italia non ci sta e non intende lasciarsi tirare per la giacchetta. L’amministratore delegato Franco Bernabé, agendo in linea con una chiara logica aziendale, difende l’operato del proprio gruppo e tenta soprattutto di proteggerlo dai rischi che dai piani istituzionali si stanno palesando: la rete non si tocca, la rete non si impone. Telecom, insomma, cerca ancora una volta di smarcarsi: la legge del mercato rimanga a briglie sciolte, senza interventi esterni che impongano all’incumbent comportamenti contrari alle logiche ed alle strategie del gruppo.
Il discorso a cui fa riferimento Bernabé è del tutto chiaro: Telecom Italia non vuole né cambiare i propri piani di investimento, giudicati del tutto sufficienti, né accettare che lo stato intervenga imponendo la costituzione di un gruppo unico in cui far confluire asset che l’azienda ritiene di poter valorizzare in altro modo. Bernabé, in particolare, boccia la proposta del presidente Antitrust, Antonio Catricalà, il quale suggeriva l’ipotesi di una collaborazione tra più gruppi in una società di nuova costituzione che, sotto il controllo della stessa autorità antitrust, avrebbe quindi operato per gestire la rete di nuova generazione costituenda.
«Telecom ha predisposto un piano Ngan (nuove reti d’accesso, ndr) impegnativo, tutt’altro che timido, che garantisce al nostro Paese il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda digitale europea». E continua: «appaiono del tutto irrealistiche le ipotesi di rapida dismissione della rete in rame, avanzate negli ultimi mesi, che non trovano riscontro in nessun altro Paese occidentale». Telecom chiede di non essere trattata come un gruppo in regime di monopolio poichè la rete, sebbene ereditata dall’ex-monopolista, è oggi asservita ad un regime di libera concorrenza nel quale il gruppo stesso intende agire con le proprie armi e le proprie potenzialità.
«L’Ad di Telecom Italia, che si è presentato con il presidente Gabriele Galateri di Genola alla Camera per illustrare il piano industriale del gruppo, ha ricordato che nel triennio 2010-2012 la compagnia telefonica investirà 12 miliardi di euro, di cui 9 nel mercato nazionale: 7 miliardi verranno investiti in infrastrutture, e di questi 2,7 saranno riservati al segmento della rete d’accesso»: Telecom, insomma, vuole arrivare alla NGN secondo i propri criteri e senza accettare le provocazioni di Vodafone, Fastweb, Wind e Tiscali. Il tutto in tempo, sottolinea Bernabé, con gli obblighi imposti dall’Agenda Digitale e quindi nel pieno rispetto dei doveri dello Stato nei confronti dell’UE.
Per l’ennesima volta, insomma, Telecom rigetta ogni ipotesi collaborativa: la prova di forza è in pieno svolgimento e nessuno sembra voler mollare il tiro. E il dito viene alzato più volte proprio verso le istituzioni: di fronte c’è un possibile taglio del personale proprio in conseguenza della NGN, qualcosa che l’attuale situazione economica non assorbirebbe troppo facilmente, ed inoltre ogni deprezzamento della rete in rame non farebbe altro che rallentare gli investimenti nella fibra. Una prova di forza non soltanto nei confronti dei competitor, insomma, ma con piena attenzione anche a quello che potrebbe essere l’elemento di disturbo dettato dall’agenda politica.