Il modello di business imposto agli artisti dalle grandi società che operano nel mondo online non è equo. È l’accusa rivolta da Thom Yorke, leader dei Radiohead, verso realtà come Google e YouTube. Il musicista ha toccato l’argomento nel corso di un’intervista comparsa sulle pagine di Repubblica, in cui si parla anche del nuovo progetto discografico della band, confermato tra le righe senza però svelare alcun dettaglio concreto.
La critica viene mossa in primis alla ripartizione degli introiti provenienti dalle inserzioni pubblicitarie, che secondo Yorke “lasciano le briciole” agli artisti, anche ora che il gruppo di Mountain View ha lanciato un’iniziativa a pagamento come YouTube Red, studiata proprio per consentire agli utenti di saltare gli spot mettendo mano al portafogli.
I Radiohead, va ricordato, sono stati fino ad oggi una delle band maggiormente disposte a sperimentare con le nuove tecnologie offerte dalla Rete, per trovare canali di distribuzione dei contenuti alternativi a quelli mainstream. Già nel 2007 decisero di pubblicare l’album “In Rainbows” lasciando ai fan decidere quanto versare, senza alcun prezzo prestabilito. Questo uno stralcio dell’intervista odierna.
Si continua a dire che è un’epoca in cui la musica è gratis, il cinema è gratis. Non è vero. I fornitori di servizi fanno soldi. Google. YouTube. Un sacco di soldi, facendo pesca a strascico, come nell’oceano, prendono tutto quello che c’è trascinando. “Ah, scusate, era roba vostra? Ora è nostra. No, no, scherziamo, è sempre vostra”. Se ne sono impossessati.
L’accusa di Yorke non si ferma qui e arriva ad utilizzare un paragone piuttosto forte, equiparando l’azione di realtà come bigG a quella dei nazisti nel corso del secondo conflitto mondiale, quando tentarono di impossessarsi delle opere d’arte altrui.
È come quello che hanno fatto i nazisti durante la seconda guerra mondiale. Anzi, quello che facevano tutti durante la guerra, anche gli inglesi: rubare l’arte agli altri paesi. Che differenza c’è?