Il titolo se l’è aggiudicato Barack Obama, ma vi è certamente una gradita sorpresa per tutti gli amanti di Apple nella classifica dei personaggi dell’anno del Time: Tim Cook è il terzo “runner up”, dietro alla pakistana Malala Yousafzai. Un riconoscimento che arriva un po’ a sorpresa per un 2012 fatto di crisi, eventi politici e rivoluzioni nei paesi arabi, ma certamente meritato per l’attuale CEO dell’azienda di Cupertino. Ma quali sono le ragioni che hanno spinto il Time a inserirlo in lista?
La testata lo definisce senza troppi giri di parole “The Technologist”, ovvero l’uomo che ha fra le mani il destino dell’azienda informatica più ricca al mondo. Il suo merito principale è quello di aver ricevuto in eredità un impero da Steve Jobs, facendolo proprio e imprimendone una direzione ben precisa. Cook ha saputo farsi carico di una responsabilità così ingente, senza cadere mai schiacciato dal peso del confronto con un predecessore così amato ma allo stesso tempo ingombrante.
«Ha ereditato la più pregiata compagnia al mondo da uno dei maggiori innovatori della storia. Nel 2012, ha fatto Apple propria»Time
Nel corso degli ultimi 12 mesi, Apple ha raggiunto una capitalizzazione di 137 miliardi di dollari, più di Microsoft e Google insieme, scalzando l’ex azienda più ricca del mondo, la petrolifera Exxon Mobil, ferma a 83 miliardi. Un successo straordinario se si considera come negli anni ’90 la Mela abbia rischiato più volte il fallimento. Una conferma della genialità di Steve Jobs, il quale negli ultimi 10 anni ha portato la Mela su vette impensabili con iPod, iPhone e iPad. Ma è anche una conferma dell’ottimo lavoro di Tim Cook, prima come braccio destro dello stesso Jobs e oggi lungimirante capo di un impero.
Così come descritto nelle tre pagine di profilo che il Time gli dedica, lo stile è molto diverso dal quello dell’ex iCEO. Tim Cook è riservato, poco rumoroso, ha modi di fare cordiali e spesso lo si sente parlare sottovoce. Un “seduttore” nato, così come lo definisce il Time. Un’acqua cheta, lo definirebbero altri, perché quando è giunto il momento di mostrare il pugno duro non si è di certo defilato. Ne è la dimostrazione il licenziamento di Scott Forstall – un personaggio che Jobs non avrebbe mai allontanato da Cupertino – a seguito della famosa lettera sulle Mappe di iOS 6. Cook mira alla collaborazione, all’unità del team, al lavorare insieme per il bene comune dell’azienda e non ha avuto alcuna remora nell’allontanare chi, come Forstall, minava questa armonia.
Nonostante il recente calo in borsa, Cook ha inoltre saputo dar sicurezza ai mercati. La morte di Steve Jobs è stata accompagnata da una marcia funebre anche per Apple, perché in molti han pensato l’azienda potesse solo che affogare privata del suo insostituibile creatore. E, invece, l’attuale CEO ha rassicurato gli investitori in diverse occasioni, rovesciando questa condanna. Ai tempi delle polemiche di Foxconn, ad esempio, ha messo direttamente la sua faccia a disposizione dei media e ha sgonfiato parte delle critiche assoldando gli osservatori di The Fair Labour Association.
E durante la crisi delle Mappe di iOS 6 – una situazione davvero critica per Cupertino – non ha avuto alcun dubbio nell’assumersi le sue responsabilità. Cook non è forse così mediatico quanto lo era Steve Jobs, ma è un sapiente comunicatore. L’intervista per NBC ha dimostrato come il CEO sappia giocare molto bene con le parole, non lasciando il minimo spazio al giornalista per metterlo in disagio o per strappare delle informazioni riservate. È entrato nell’immaginario collettivo a poco a poco, in punta di piedi e pattine, e si è fatto amare sfruttando questo charme.
Non è un caso, allora, che Apple rinunci a una parte dei suoi guadagni cinesi per investire negli USA, dove il costo del lavoro è decisamente più alto. Insomma, prima di passare a miglior vita l’ex iCEO si è raccomandato che Cook mai si chiedesse “cosa farebbe Jobs?”. Così ha fatto e così è stato ricompensato.