I valori dell’impresa e del business, il gioco di squadra, ma anche l’emozione per essere presenti: gli studenti della Bocconi accolgono Tim Cook, amministratore delegato Apple, come una rockstar.
«Potremo dire: io c’ero!» commenta Matteo, con un battuta che riassume perfettamente il clima che si respirava fra gli studenti accorsi in massa per assistere alla lezione di Tim Cook per inaugurare l’anno accademico dell’Università Bocconi. Lui, l’iCeo di Apple, in completo grigio impeccabile, con un’unica nota di colore rappresentata dalla cravatta rosso scuro, non si è sottratto né al ruolo di amministratore delegato della prima società del mondo, né a quello di star al suo primo discorso pubblico in Italia (e anche in un’università non americana), sorridendo sempre e accettando di buon grado tutti i selfie scattati.
Che sono stati parecchi, perché non appena finito il discorso (breve, pochi minuti), i fortunati studenti che hanno avuto la possibilità di entrare nell’aula magna lo hanno letteralmente preso d’assalto, armati di smartphone (non tutti di casa Apple, come il manager non ha mancato di sottolineare arricchendo uno dei selfie con una battuta), e poi uscendo per mostrare ai compagni di aver conquistato il sospirato scatto. I meno fortunati, invece, hanno seguito il discorso sui grandi schermi, e hanno fatto la fila all’ingresso, prima per aspettare l’arrivo di Cook, poi sperando di vederlo andarsene.
Atmosfera da grandi occasioni, con il Senato accademico in pompa magna, la platea piena di docenti, ricercatori, economisti e personalità di vario tipo, a partire dal sindaco Giuliano Pisapia. Il padrone di casa, Mario Monti, presidente della Bocconi (oltre che senatore a vita ed ex presidente del Consiglio), visibilmente soddisfatto per la presenza di Tim Cook, offre alla platea un aneddoto che avvicina l’università milanese a un altro ateneo, che non solo è fra i più prestigiosi del mondo ed è in California, come Cupertino (sede di Apple), ma è stata anche la sede, dieci anni fa, di uno dei più famosi discorsi di Steve Jobs, il famoso “stay hungry, stay foolish”. Stanford, racconta Monti introducendo la “star” Tim Cook, fu fondata da due genitori, Jane e Leland Stanford, in memoria del figlio, morto prematuramente di tifo a 15 anni, così come la Bocconi fu fondata da un imprenditore italiano, Ferdinando Bocconi, per ricordare il figlio Luigi, morto in guerra ad Adua, nel 1896. In entrambi i casi, dunque, atenei nati per diffondere un messaggio di speranza nel futuro, come quello che, evidentemente, lancia Tim Cook pronunciando un discorso sul “business al servizio del bene pubblico”.
«Una delle cose più interessanti di quello che ha detto Tim Cook non è tanto il lavorare per fare business, ma perché i tuoi valori vengano rispecchiati nell’impresa» spiega Edoardo, studente, secondo il quale trovare un’impresa che condivide i propri valori è l’obiettivo «di ogni studente» e «Apple è un esempio emblematico di come fare qualcosa per il public good» sia l’esempio per il management e il business del futuro. È un po’ il punto centrale del discorso di Cook, evidentemente apprezzato.
Ma ognuno in realtà cita elementi diversi: Riccardo è emozionato solo per «la figura di Tim Cook, anche solo il nome». Il messaggio che lo ha colpito di più? Tim Cook «ha sottolineato la forza del lavoro di squadra, punto di forza del business», di cui molte volte ci si dimentica. Anche Angelo è emozionato per aver assistito al «primo discorso di Cook in un’università non americana», ma non solo: «ha più volte definito la Bocconi una great university, significa che ho fatto la scetta giusta» sorride, per poi sottolineare il passaggio sulla diversità, che gli è particolarmente piaciuto. Matteo approfondisce il concetto: «ha affermato che la porta di Apple è sempre aperta. E mi è piaciuto il riferimento al modo di fare business che guarda anche all’aspetto umano. Non è una cosa banale, se si legge il giornale risulta che non sempre i businessman fanno una belle figura sui principi base». Un’abile mossa di marketing del CEO di Apple? «Non credo sia solo una mossa marketing, lo dimostra anche nelle azioni».
Nicola ritiene che Apple sia un «esempio tangibile di come il business possa essere perseguito per fini economici ma anche per soddisfare il bene personale». Certo, secondo lui Tim Cook ha avuto in qualche modo la strada spianata raccogliendo le redini di un’impresa impostata da Steve Jobs. «Il suo predecessore lo ha messo sulla buona strada, fallire era difficile». Non è d’accordo Edoardo: «credo invece che quando si ha qualcosa di già molto grande sia difficile mantenerne la grandiosità».
Anna prima si scusa perchè non parla bene italiano (ha un forte accento dell’est europeo, in effetti, ma l’italiano lo parla benissimo), poi esprime il suo pensiero: «mi è piaciuto molto il fatto che ci spinga a dare un significato al lavoro e ad andare oltre, a desiderare di più, per se stessi e per gli altri. Credo sia possibile nel mondo del business, ma ci vuole una grande forza, perchè il mondo non è fatto così». Apple, però, «è sempre stata avanti rispetto al mondo».
Diciamolo, il fascino del personaggio, e della giornata, è tutto qui: un messaggio che parte dalla cultura d’impresa e varca i confini del mondo (siate cittadini del mondo, è il messaggio di Cook agli studenti), da parte dell’amministratore delegato della prima impresa del pianeta, che produce oggetti tecnologici belli e innovativi. Gli ingredienti per piacere agli studenti di una business school ci sono tutti. Certo, i bocconiani hanno avuto un inizio di anno accademico più movimentato di quello dei colleghi della Cattolica, a Milano, che invece hanno accolto (per l’inaugurazione dell’anno accademico), il presidente della BCE, Mario Draghi.
Discorso importante, quello di Draghi in Cattolica lo scorso 5 novembre, incentrato sul futuro dell’Europa e della moneta unica. Ma Tim Cook produce l’iPhone e l’iPad, e questo probabilmente anche fra gli studenti di economia fa la differenza. Matteo, lo studente soddisfatto di poter dire “io c’ero”, non ha dubbi: «è stato un grande onore per tutti noi», «sono cose che rimangono nella storia».
Chissà se giovedì 12 novembre, sarà a Roma a sentire Satya Nadella, amministratore delegato Microsoft, al Future Decoded. Dopo il successore di Steve Jobs, infatti, arriva in Italia per la prima volta anche il manager dell’azienda di Bill Gates per un incontro storico con sviluppatori e studenti a presentazione della visione su cui si sta costruendo la Microsoft che verrà.