Dopo anni di battaglie legali della Motion Picture Association of America contro i vari software e le reti di file sharing (in cui sembrava che l’arma dei log file, il documento dove è tenuta nota di tutte le transazioni degli utenti, fosse definitivamente morta) ora la MPAA ha ottenuto da un giudice l’opportunità di costringere TorrentSpy a monitorare gli indirizzi IP dei suoi utenti.
La svolta avvenne con la madre di tutte le cause tra società degli editori e compagnie che ruotano attorno allo scambio in rete di materiale protetto da diritto d’autore: il caso Napster. Il progenitore di tutti i software di peer to peer fu infatti incastrato e obbligato a cessare le attività o a convertirsi in music store legale (cosa che ha prontamente fatto) grazie al fatto che tutte le transazioni passavano attraverso un server centrale, nel quale veniva tenuta nota (in un log file appunto) di tutto ciò che accadeva con tanto di indirizzi IP e nick degli utenti. Un simile file costituiva la prova degli scambi e della violazione del diritto d’autore, dunque da quel momento in poi nessun altro software lo ha utilizzato, potendo così dichiarare in piena coscienza di non essere a conoscenza di ciò che accada sulle proprie reti.
Una nuova argomentazione della MPAA, però, ha convinto ora il giudice Jacqueline Chooljian ad ordinare a Torrent Spy di monitorare gli indirizzi IP dei suoi utenti. L’idea dell’MPAA si basa sul fatto che la RAM dei server di TorrentSpy mantiene le informazioni riguardo ciò che accade sui server stessi (come in un log file) per almeno sei ore, così avendo anche gli indirizzi IP degli utenti che utilizzano il servizio e incrociando i dati è possibile dimostrare il dolo senza produrre nuove prove (cosa che non sarebbe ammessa). TorrentSpy, dunque, diventerà forzatamente a tutti gli effetti una spia dichiarata dell’MPAA.
I rapporti tra l’associazione degli editori e il sito notoriamente non sono tra i migliori e così la MPAA ha anche fatto subito partire una causa contro TorrentSpy per inquinamento delle prove. Nello scorso febbraio infatti, proprio durante il periodo di una causa, il sito di torrent in questione spostò le sue operazioni da un server all’altro in modo da evitare che i dati sulla RAM potessero condannarli.
Ora dunque per un certo periodo TorrentSpy (come precisato nell’ordinanza) dovrà tracciare gli indirizzi IP di chi si collega ai suoi server (nonostante sia esplicitamente precisato nei termini del servizio che mai lo avrebbero fatto) con l’autorizzazione a mascherarli per motivo di privacy, anche se una copia in chiaro dovrà essere disponibile per le indagini.