Passa il tempo, scorrono le sentenze, ma il nodo attorno al P2P continua a non sciogliersi. Il rimando agli stessi principi già affrontati e mai risolti si arroventa in un ricorrere ormai senza soluzione di continuità. La ricerca di un principio base ha portato ora a riunirsi il 9° circuito della Corte d’Appello di Pasadena (California) in occasione della richiesta di ridiscutere il caso Grokster/Morpheus. Presenti gli avvocati rappresentanti il mondo del P2P coinvolto nella vicenda.
Tutto iniziò con Napster. L’inaccettabilità del nuovo mezzo si concretizzò in una norma che stabilisse la colpevolezza del software nella sua distribuzione in parte centralizzata dei file condivisi. La norma fu per un certo periodo valida in quanto riuscì a far valere il principio in altre sentenze. Tutto venne rimesso in discussione quando il giudice federale Stephen Wilson sancì la non colpevolezza dei sistemi Grokster e Morpheus proprio in quanto privi di quella struttura semicentralizzata usata da Napster.
Finora il principio di base era quello sancito dalle parole del giudice Wilson: «Grokster e Streamcast non sono significativamente differenti dalle compagnie che vendono videoregistratori o fotocopiatrici, entrambi usati per infrangere copyright»: se non sono irregolari quest’ultime, non possono per semplice sillogismo essere irregolari neppure Grokster, Streamcast e tutte le aziende responsabili di software per il file-sharing. Tutto ciò è ora nuovamente in discussione, ennesimo ricorso ad un nodo mai sciolto ed ancora vincolante.
A tutt’oggi i sistemi di peer-to-peer sopravvivono in un’aura di legalità grazie alla loro struttura decentralizzata che mette semplicemente in contatto utenti legati dall’interesse per lo stesso file. Il nuovo principio messo posto sulla bilancia del caso è la responsabilità dei gestori circa la legalità dei contenuti immessi nella rete. Il punto della questione in ballo nella tavola rotonda della Corte californiana è l’essenza stessa del peer-to-peer: chi è responsabile della rete e dei contenuti ivi immessi dagli utenti?
Compagnie quali la Streamcast Networks rifiutano l’impostazione proposta negando ogni controllo (e addirittura ogni possibilità di controllo) sui file scambiati dagli utenti ed assumendosi responsabilità solo per quanto riguarda il software e non certo per quanto concernente il network. Michael Weiss, CEO Streamcast Networks, sposta ulteriormente l’obiettivo sottolineando come l’industria dell’intrattenimento voglia semplicemente avere il controllo dell’innovazione tecnologica.