Google ha messo nero su bianco i risultati di un servizio lanciato nel 2009 con il quale il gruppo intende gettare un velo di trasparenza circa i propri rapporti con gli stati nazionali in cui opera. Con il nuovo Transparency Report, l’utenza potrà ora conoscere quali governi hanno chiesto negli ultimi mesi a Google di rimuovere determinati contenuti e dove, invece, i servizi del colosso vengono addirittura bloccati.
Lo strumento consente in tutta semplicità di prendere in esame un certo Paese e comprendere appieno la situazione in quanto alla questione “censura”. A volte, infatti, taluni contenuti su Internet non sono disponibili non per ragioni tecniche, ma specificatamente perché i regimi autoritari in loco impongono il divieto di accesso a determinate informazioni. Google intende dissociarsi da tali politiche di chiusura mettendo in luce quali siano le zone di maggior difficoltà, smarcandosi così da eventuali accuse di collaborazionismo.
Tramite una mappa interattiva vengono mostrati quali governi hanno contattato Mountain View per chiedere il blocco di determinate pagine. Vi è inoltre anche una sezione denominata Traffic che mostra con un menù quante e quali siano state le interruzioni in un determinato Paese, e se siano dovute a problemi tecnici oppure a motivi di censura. Per fare un esempio, come ha sottolineato David Drummond nell’apposito post di presentazione, il grafico relativo all’Iran evidenzia come YouTube sia stato bloccato in quel Paese dal giugno del 2009 per via della contestata elezione presidenziale. Per quanto riguarda l’Italia, invece, nei primi sei mesi del 2010 vi sono state 69 richieste finalizzate alla rimozione di contenuti.
Lo sviluppo di tale strumento è figlio dei problemi che il colosso ha avuto con la Cina: Google ha spiegato infatti che i funzionari cinesi ritengono le richieste per la censura dei veri e propri segreti di Stato, per cui non è possibile rivelare determinate informazioni. Google però intende perseguire la trasparenza e considera pertanto tale mossa come «un passo concreto che speriamo incoraggerà le imprese e i governi ad essere altrettanto trasparenti».