Repubblica.it ha dato in queste ore spazio ad un paese del bergamasco, Treviolo, che con il suo gruppo WhatsApp da oltre 1000 cittadini porterebbe sulla stessa chat circa il 10% della popolazione complessiva del comune. Un gruppo particolare, un gruppo con finalità mirata: un gruppo chiuso, dunque tutto quel che vi succede trapela ed è raccontato dai partecipanti stessi.
Un gruppo pensato per la sicurezza del paese. Laddove maggiore è la percezione di insicurezza, maggiore diventa il tentativo di farsi forza l’un con l’altro, nutrendo questo desiderio di partecipazione con tutti i buoni principi che può ispirare un sano rapporto di buon vicinato. Se tutti controllano le strade, del resto, le strade sono più sicure. Purtroppo, però, non funziona così.
Treviolo, stai sbagliando
Nessuno si affretti a giudicare Treviolo o la sua popolazione, soprattutto di fronte a reazioni istintive quando si ha la sensazione di essere “sotto assedio”, insicuri nelle proprie case e nelle proprie strade. Questo perché iniziative come il gruppo WhatsApp nascono da emozioni profonde che, sul tessuto dell’Italia di provincia, portano rapidamente all’attivismo. Perché questa è l’Italia di provincia: vituperata da troppi, da sempre è la parte sana del tessuto economico e sociale del paese grazie alla sua solidarietà, grazie all’attivismo delle persone, grazie ai legami che uniscono le comunità. Tuttavia proprio questo tessuto rischia di diventare pericoloso, se non esplosivo, quando la direzione intrapresa è quella sbagliata. Ed ecco perché ai treviolesi non bisogna lanciare accuse, ma soltanto un monito: attenzione a WhatsApp, perché nasconde un rischio.
Il rischio è quello della comunicazione orizzontale (soprattutto quando quest’ultima non completa, ma sostituisce, le comunicazioni verticali). Nel momento in cui si nota una persona sospetta, infatti, sarebbe buona norma chiamare immediatamente le autorità affinché possano verificare ed eventualmente intervenire. Subito, immediatamente, senza nulla di ulteriore, senza filtri o passaggi intermedi. In questa semplice pratica c’è tutto: c’è il valido gesto del monitoraggio del territorio da parte dei suoi cittadini, c’è il presidio della zona da parte dei residenti, c’è il sano dialogo con le autorità, c’è la possibilità di misurare efficacemente la reale situazione da parte delle forze dell’ordine. Quando in questo meccanismo si inserisce il granellino di WhatsApp, le ruote rischiano di scricchiolare. Fino a fermarsi. Fino a rompersi.
Il messaggio inviato ad altri mille cittadini comporta infatti:
- ritardo: le autorità non sono avvertite all’istante, ma soltanto in un secondo momento, magari quando ormai il fatto è già compiuto; le indagini “diffuse” non hanno mezzi né protocolli e rischiano di deviare, sottovalutando eventuali allarmi; i falsi positivi potrebbero incoraggiare maggior diffidenza, ritardando ulteriormente allarmi che meriterebbero invece attenzione immediata;
- disattenzione: l’attenzione è una risorsa scarsa e un eccesso di allarmi tende a portare ad una diminuzione del monitoraggio di lungo periodo; il rumore di fondo che è in grado di generare un gruppo da 1000 persone è qualcosa di poco utile all’efficace monitoraggio del territorio e comunque tanto tempo e tante risorse potrebbero sicuramente essere impiegate in modo più efficiente;
- confusione: sebbene i partecipanti al gruppo neghino di voler diventare ronde o sentinelle, di fatto viene a crearsi una posizione nuova e non ben definita, nel quale si perde la linearità della filiera corta cittadino-autorità con cui bisognerebbe costruire la sicurezza per le strade;
- sfiducia: se il cittadino non si fida delle autorità, le conseguenze sono ben peggiori dei semplici furti. Soltanto un sano dialogo tra autorità e cittadini, infatti, può consentire una collaborazione attiva tra le parti evolvendo in senso costruttivo l’uso degli strumenti di comunicazione oggi disponibili;
- distorsione: un messaggio lanciato in un gruppo tende ad essere completato dagli indizi di altri e la verità che viene infine costruita (e magari consegnata alle autorità) non è più frutto di mera osservazione, ma prodotto di una elaborazione collettiva da cui facilmente possono scaturirne pregiudizi, chiacchiericcio, interpretazioni e costrutti di altro tipo ancora. Fino a perdere contatto con le osservazioni iniziali, quelle realmente utili a sbrogliare la matassa e magari a prevenire eventuali furti o truffe.
Gruppi WhatsApp di questo tipo nascono in ogni dove e per molti motivi: la loro natura è solidale, tra “pari”, e l’obiettivo è quello di tutelarsi a vicenda di fronte a qualsivoglia ostacolo o pericolo. La natura del gruppo di Treviolo è la stessa del gruppo delle “mamme della scuola materna”, che è la stessa del “genitori della classe Prima A”, che è la stessa di mille altri. WhatsApp si è inserito in una dinamica in atto da tempo, moltiplicando gli effetti deleteri della disgregazione di una certa organizzazione sociale.
Non sia una colpa, ma è un errore
Non c’è nulla di male nel treviolese in cerca di sicurezza. Anzi: la sua spontanea solidarietà sociale è una ricchezza che in alcun modo va derubricata a priori ad ignoranza o razzismo. Ciò non toglie che in quel gruppo WhatsApp ci sia qualcosa di profondamente sbagliato, qualcosa che potrebbe portare ad ulteriori errori in futuro.
Cosa succederebbe infatti se il problema ravvisato in strada fosse relativo ad un cittadino della stessa Treviolo? Sarebbe un comitato popolare a decidere come e se portare il caso all’attenzione di un giudice? Sarebbe un gruppo WhatsApp a tirar fuori retroscena, situazioni famigliari, situazioni indicibili o altro ancora? Il 10% della popolazione può farsi arbitro e giudice, stabilendo cosa sia sospetto e cosa no, oppure il 100% della popolazione dovrebbe limitarsi a prestare i propri occhi alle autorità, ricevendo in cambio l’assistenza desiderata?
Il problema va identificato, capito e risolto. Se la percezione di insicurezza (spesso non comprovata dalle statistiche, peraltro) cresce, occorre rispondere con l’arma migliore: il presidio del territorio da parte delle autorità. I gruppi WhatsApp, infatti, possono soltanto alzare la percezione della solidarietà tra concittadini, ma non aumenteranno realmente la sicurezza. La disponibilità dei singoli, il loro tempo, la loro attenzione e la loro forza sodale siano convogliate altrove: il volontariato, che nell’Italia di provincia rappresenta oggi uno dei collanti sociali più forti e virtuosi, ha sempre bisogno di validi cittadini dai buoni principi.