Negli anni scorsi si sono moltiplicate le polemiche concernenti gli user generated content derivanti dalle zone di guerra. Molti soldati USA, infatti, hanno espresso il proprio desiderio di vicinanza alla famiglia portando la propria presenza online con foto e video ripresi direttamente dal fronte, nelle basi militari ed in ogni caso in zone di importanza strategica. La cosa non è piaciuta all’Esercito, che ha innanzitutto messo al bando ogni upload non autorizzato (alla berlina dal maggio 2007 siti come MySpace, YouTube, Facebook e similari). Limitare l’incedere della tecnologia è però con tutta evidenza una battaglia contro i mulini a vento, così il Dipartimento della Difesa ha dato il via ad un progetto parallelo di dubbia utilità: TroopTube.
TroopTube è uno YouTube parallelo che permette alla Difesa di poter controllare, vagliare ed eventualmente filtrare il materiale immesso online dai soldati. Due piccioni con una fava: lasciar libera espressione alle proprie truppe (permettendo loro di portare la propria voce ed il proprio volto sui desktop di casa) ed al contempo vegliare sui segreti militari deliberatamente regalati al nemico. Lo spionaggio online è infatti ormai un’arma comune e le informazioni passate alla controparte con queste pericolose emorragie di filmati incontrollati rischiava di mettere in pericolo le truppe stesse.
Al momento il servizio risulta oltremodo scarno. I video non hanno possibilità di embed (configurando il tutto più come una sorta di segreteria video-telefonica che non come un servizio di videosharing) e l’archivio è totalmente scarno. Solo un brevissimo messaggio di un sorridente Generale David Petraeus fa al momento capolino tra i video in rilievo, mentre poche decine di altri filmati non sembrano rappresentativi del ruolo che il servizio “anti-YouTube” dovrebbe ricoprire.
In nessun documento viene indicato un potere censorio da parte delle autorità della Difesa, ma al tempo stesso ogni filmato sarà passato al vaglio del Pentagono per problemi di sicurezza nazionale o violazioni del copyright. Ne consegue un archivio di video ben poco spontanei, poco fruibile e del tutto scollegato dalle dinamiche di networking proprie di YouTube e similari. Il giudizio andrà comunque rinviato nel tempo, in attesa che gli interessati accedano all’archivio ed apportino autentici user generated content affossando le prove istituzionali poste in essere in occasione della presentazione pubblica del servizio.