Un tribunale turco ha ordinato all’autorità delle telecomunicazioni di ripristinare entro oggi l’accesso a Twitter. L’ingiunzione avviene cinque giorni dopo la decisione del governo di Erdogan di bloccare il social network nel paese, che ha scatenato proteste internazionali e si è scontrata con le brillanti capacità della popolazione di superare il blocco.
La notizia, che sta rimbalzando sul social a grande velocità ed è già stata ripresa e commentata da tutte le grandi testate, come il TIME e il Guardian, dimostra ancora una volta le difficoltà in cui naviga Erdogan, che ha tentato anche questa ultima carta per dare una sferzata alla campagna elettorale e zittire le opposizioni, il giornalismo indipendente e soprattutto il citizen journalism che proprio tramite Twitter ha diffuso scottanti documenti sul livello di corruzione dell’amministrazione.
Turkish court overturns Twitter banhttp://t.co/g17daw9ZFn
— TIME (@TIME) March 26, 2014
L’aspetto più interessante della vicenda turca è l’intricata convivenza di spinte progressive e regressive, di corpi democratici e di tentazioni di regime nello stesso paese. Difficile per un europeo comprendere la logica che porta un primo ministro a ordinare il blocco di Twitter e la conferma di un suo ministro, Bulent Arinc, che l’autorità delle telecomunicazioni obbedirà alla decisione del tribunale in cui ha ricevuto comunicazione ufficiale, pur riservandosi il diritto di presentare ricorso. Negli stessi giorni, nello stesso paese, una delle azioni più aggressive e oscurantiste che si possano immaginare veniva contrastata dall’alfabetizzazione informatica di uno strato importante della popolazione, ed ora pure annullata dalla sentenza di un tribunale. Persino il presidente della repubblica twittava le sue opinioni nelle stesse ore in cui, almeno formalmente, quello stesso servizio non sarebbe dovuto più essere disponibile nel paese.
L’intervento degli avvocati, anche di Twitter
Resisteremo e torneremo presto. Così aveva twittato il social network, mostrando calma e sicurezza. Ora è chiaro il motivo: la sentenza del tribunale amministrativa di Ankara che ordina di sbloccare Twitter è il prodotto di alcune denunce depositate in questi giorni alle quali hanno collaborato anche gli avvocati di Twitter, firmate da importanti sigle, come l’Unione degli Ordini degli Avvocati turchi (TBB) e il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) di Oktay Vural.
We stand with our users in Turkey who rely on Twitter as a vital communications platform. We hope to have full access returned soon.
— Global Government Affairs (@GlobalAffairs) March 21, 2014
La Corte Costituzionale ha esaminato le singole domande riguardanti il divieto e ha già spiegato che non è necessaria una decisione separata dato che il tribunale amministrativo ha già emesso una sospensione dell’esecuzione. Il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan aveva promesso di «spazzare via Twitter» indicando la possibilità che il divieto sarebbe stato esteso ad altri popolari siti come YouTube e Facebook.
Il governo aveva accusato Twitter di «indifferenza» a proposito di alcune sentenze giudiziarie turche che ordinavano la rimozione di alcuni contenuti considerati in violazione del diritto della privacy, ma Twitter ha preso tutti in contropiede iniziando rapidamente dei colloqui con il governo turco e accettando di rimuovere alcuni di questi contenuti (sembra due su 700). Questa doppia manovra, giudiziaria e politica, ha consentito l’ingiunzione del tribunale. A meno di sorprese eclatanti, il blocco di Twitter ha le ore contate.