Se la letteratura e la cinematografia sci-fi ci hanno insegnato qualcosa in merito alle passeggiate spaziali è che possono essere pericolose. Fortunatamente le disavventure kubrickiane del comandante Bowman e del suo vice Poole in “2001: Odissea nello Spazio” appartengono solo all’immaginario fantascientifico, ma gli astronauti che si trovano a operare al di fuori dei moduli che li ospitano devono realmente fare i conti con una serie di incognite e imprevisti.
A loro hanno pensato i ricercatori di un’azienda chiamata Draper, che ha progettato e brevettato una tuta spaziale in grado di riportarli in salvo anche se colti da malore, disorientamento o se non in grado di compiere il tragitto autonomamente. Si tratta di un sistema capace di rilevare con precisione la posizione esatta in cui si trova il membro dell’equipaggio, anche in assenza di segnale GPS, calcolando poi il percorso migliore da compiere per tornare a bordo tenendo in considerazione parametri come la riserva di ossigeno disponibile, la distanza e gli eventuali ostacoli. La tecnologia agisce di conseguenza sui jetpack integrati per gestire il movimento e raggiungere la destinazione. Il controllo può essere effettuato dall’astronauta che la indossa (se cosciente) premendo un pulsante “Take me home” oppure dai suoi colleghi a bordo e persino dal comando missione a Terra.
La fase di ricerca è stata finanziata dalla NASA, che un giorno potrebbe impiegare il sistema sulla Stazione Spaziale Internazionale o, guardando più avanti, per le prime missioni che porteranno il genere umano su Marte. Le tute e i sistemi di protezione costituiranno un elemento di fondamentale importanza nella conquista del pianeta rosso: una delle principali problematiche da affrontare riguarda infatti le radiazioni cosmiche, dannose per l’organismo soprattutto in seguito a lunghi periodi di esposizione. Proprio l’agenzia spaziale statunitense sta lavorando in questa direzione, ipotizzando addirittura di intervenire sul DNA degli astronauti, alterandolo per aumentarne la resistenza.