I social network entrano nelle nostre vite e aumentano l’attività media degli utenti. Se è vero che esiste una parte abitata della rete e che è composta da quegli utenti considerati “inclini alla produzione di contenuti ed alla diffusione di opinioni”, i luoghi come Facebook o Twitter hanno aumentato a dismisura tali inclinazioni.
Il fatto che durante il terremoto nei pressi di L’Aquila dei giorni scorsi la rete si sia affollata di notizie in merito alle 4 del mattino ha dello straordinario.
Straordinario perchè l’istinto delle persone (o quantomeno di alcune persone) è stato quello di andare al computer per capire di più di quello che era successo controllando se ci fossero informazioni o condividendo le proprie, e straordinario perchè il microblogging (assieme al social networking), come ha fatto notare Luca Sofri, è stata l’unica forma di informazione attiva a quell’ora.
Nel flusso di informazioni provenienti dai propri contatti per molti è stato possibile non solo trovare conforto della propria condizione ma anche cercare di cominciare ad intravedere le motivazioni dell’accaduto. Sempre Wittgenstein riporta un’interessante lista di micropost e aggiornamenti di status da FriendFeed che chiariscono il senso e il funzionamento di tale flusso.
Nel suo complesso l’informazione atomizzata dei molti diventa conoscenza, e quando questo accade non siamo disposti a tollerare il silenzio delle fonti tradizionali (mai tante lamentele perchè nessuno avesse dato notizie nel cuore della notte).
La rete ci sta cambiando e sta cambiando non solo il modo in cui ci parliamo ma anche le occasioni e le finalità. Le conversazioni non sono più solamente da uno ad uno ma anche da uno a molti e in quel caso gli aggregatori le rendono conoscenza condivisa. E questo tanto vero quanto più la parte abitata della rete aumenta. E questa aumenta quanto più esistono strumenti che portano tali “abitazioni” a tutti.