La parola più popolare online, secondo la Global Language Monitor, compagnia texana che si occupa di monitorare le variazioni delle lingue di tutto il mondo, è Twitter. Il servizio di microblogging ha avuto nel 2009 un boom delle iscrizioni e un utilizzo sempre maggiore da parte degli utenti di tutto il mondo. Strumento fondamentale per comunicare anche nei paesi spesso censurati come la Cina e l’Iran.
Il social network, con i suoi 140 caratteri, ha valorizzato il concetto di sintesi ed è una delle poche aziende che non si mantengono ancora sulla pubblicità, anche se in futuro si pensa a dei banner che possano monetizzare il traffico del sito. Le cose però stanno per cambiare, infatti Kenichi Sugi, responsabile della filiale giapponese partner di Twitter, ha annunciato che da gennaio potrebbe partire un nuovo tipo di account a pagamento.
L’utente Premium posta dei messaggi a cui si può accedere solo attraverso un abbonamento, si pagherà in base al valore dei contenuti, da un minimo di 1,16 a un massimo di 11,60 dollari. Questi soldi andranno divisi, il 70% andrà all’autore dell’account mentre il 30% a Twitter. I vertici dell’azienda però smentiscono un’eventuale pay-per-tweet, come se fosse un’ipotesi impossibile, mentre punta a offrire dei servizi per le imprese che possono creare delle entrate che mantengano i costi della gestione.
Ma cosa succederebbe se il social network diventasse a pagamento? Probabilmente una migrazione degli account verso quelli free, un po’ come accade per il peer to peer, appena chiude un sito di file sharing illegale se ne apre subito un altro così avverrà nel mondo delle news. Il concetto di condivisione su cui si basa il Web non può essere eliminato o modificato in poco tempo, è difficile limitare gli utenti. Bisognerebbe quindi ipotizzare per il 2010 nuove forme di business per Twitter che non coinvolgano direttamente i fruitori. Voi cosa ne pensate?