Dopo aver segnalato un abuso, molto spesso la risposta è il silenzio, altre volte una risposta insoddisfacente, e in neppure tre casi ogni cento una soluzione. Il report pubblicato da BuzzFedd a proposito delle storie di molestie, diffamazione, bullismo avvenute tramite Twitter è davvero sconfortante, dal punto di vista umano e statistico. Tanto da far sorgere una domanda: ma è davvero pensabile di lasciare alle piattaforme questo compito?
Quasi la metà delle segnalazioni non riceve alcuna risposta, e solo il 2,6% si conclude con l’eliminazione dell’account. BuzzFeeed prende di mira il sistema di segnalazione di Twitter e lo fa a pezzi. D’altronde non è la prima volta che se ne parla come di un sistema opaco e tutt’altro che efficiente, nonostante gli sforzi che hanno portato a snellire il procedimento, prima del 2014 troppo lungo. Nonostate questa semplificazione e alcuni strumenti molto richiesti dagli utenti (ad esempio la possibilità di segnalare più tweet alla volta) è purtroppo realistico affermare che oggi tra i cinguettii ci sono anche molti versi sgradevoli, che possono deprimere le persone, le quali spesso si sentono rispondere che gli standard della community sono rispettati e che se ci si sente offesi è meglio chiamare la polizia. Concetto di per sé neppure sbagliato, ma bisogna capire che lezione trarne.
We surveyed 2,702 users about the abuse they face on @Twitter. This is what we found https://t.co/uG91R38rn3 pic.twitter.com/F8hQBiycYP
— BuzzFeed News (@BuzzFeedNews) September 23, 2016
Numeri terribili
La chiusura del sondaggio promosso dalla testata americana ha permesso di aggregare alcuni dati. Dei 2.702 intervistati, 1.478 (55%) ha dichiarato di essere stato obiettivo di un tweet o un messaggio diretto considerabile come aggressivo. Di quelli che hanno risposto di sì, gran parte si appella a episodi accaduti non più di due settimane fa. Gli esempi di molestie raccontati dagli intervistati sono i più disparati e sembrano essere in palese violazione dei princìpi secondo i quali “non si può minacciare altre persone sulla base di razza, etnia, origine nazionale, orientamento sessuale, genere, identità di genere, appartenenza religiosa, età, disabilità o malattia“.
Tra i vari esempi, anche in forma anonima, portati dalle vittime, ci sono sostituzioni di nomi per meme di natura sessuale insultanti, fotomontaggi con immagini rubate e spedite in modo virale, minacce di stupro, di morte, violazioni della privacy con la pubblicazione degli indirizzi di casa, dell’ufficio, della scuola dei figli, foto delle patenti di guida, di vari documenti. Nel campione di intervistati le frasi più frequenti parlano di “sconforto”, “umiliazione”, le persone si defiscono “vulnerabili”.
Kristin Binns, una portavoce della società californiana, ha commentato:
La sicurezza è la nostra priorità. Stiamo costruendo migliori strumenti e processi di tutti i giorni. Non possiamo commentare un sondaggio di terze parti, e la sua natura anonima rende impossibile la verifica di dati o corroborare la risposta. Però sappiamo che c’è ancora molto da fare, stiamo facendo progressi per dare alle persone un maggiore controllo sulla propria esperienza su Twitter e per meglio combattere gli abusi.
Il paradosso della libera espressione
Si preoccupano di più dei diritti d’autore di quanto non facciano per le persone. Twitter afferma di bilanciare le preoccupazioni per la libertà di parola con il comfort degli utenti, ma la paura di molestie produce auto censura. Sono solo alcuni dei giudizi che si notano dopo la pubblicazione di questo sondaggio, destinato a fare ancora discutere: anche senza una particolare dignità statistica – è più che altro un sondaggio e il campione non è studiato secondo i criteri demografici – il sondaggio è arricchito come un reportage con alcune storie reali e nell’insieme sembra comunque segnalare un problema emergente. E visto che si tratta di un problema vero, bisogna chiedersi se è concreto, come sostiene Luca Alagna, esperto di social media, che di questo passo si limiterà la libertà di espressione invece di garantirla. Oppure è il rischio da correre per evitare una vera censura dei contenuti in Rete e si deve puntare tutto sull’educazione?
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Un fatto è certo: anche solo a vista d’occhio, senza dati a sostegno, si nota un progressivo peggioramento in termini di molestie, di “cultura” della molestia. Tuttavia, come mostra la vicenda del ddl sul cyberbullismo in Italia, pensare di regolamentare tutto spostando il peso della scelta di cancellazione sulle spalle delle piattaforme è quantitativamente impossibile. Queste semplici storie e statistiche lo dimostrano una volta di più.