C’è chi ipotizzava un complotto anti-Wikileaks e chi pensava ad un semplice modo per non sbilanciarsi in favore del Cablegate: se “#Wikileaks” non compare tra i trend di Twitter, del resto, deve giocoforza esserci una motivazione plausibile. Twitter, per evitare ulteriori polemiche in merito, ha così preferito intervenire e dir la propria sgomberando il campo da interpretazioni maligne.
Un post sul blog del gruppo introduce l’argomento direttamente: «questa settimana la gente si è preoccupata di Wikileaks ed alcuni si sono chiesti se Twitter abbia impedito a #wikileaks, #cablegate o altri topic correlati di comparire tra i maggiori Trend. La risposta: assolutamente no». Twitter ha però una spiegazione al tutto, ed è basata su un semplice sillogismo utilizzato come base logica per il proprio servizio.
Twitter spiega di preferire la novità alla popolarità, privilegiando non tanto i trend maggiormente sotto i riflettori, quanto piuttosto i trend più nuovi che il network ha potuto sperimentare. #wikileaks, insomma, potrebbe essere schiavo del proprio stesso successo: il fatto che il polverone sia cresciuto progressivamente, con le pubblicazioni relative all’Afghanistan prima ed all’Iraq poi, ha insomma evitato che #wikileaks tornasse tra i trend del momento anche in occasione del nuovo Cablegate.
Nessun intervento censorio, insomma: «certe volte un argomento non irrompe nella Trend list perchè non è così popolare quanto si possa credere. E, a volte, un termine popolare non entra tra i Trend perché la velocità nelle conversazioni non cresce abbastanza velocemente […]; è quel che è successo a #wikileaks questa settimana. Il ragionamento è pertanto simile a quello del cosiddetto Google Zeiteist, la fotografia attuale dei maggiori trend nella formulazione delle query: spiccano non tanto gli evergreen, quanto più le novità di maggior rilievo.
Nel frattempo Twitter si è reso però anche protagonista della chiusura dell’account usato dai difensori di Wikileaks per coordinare i DDoS. L’account è stato in seguito ripristinato, ma la situazione rimane giocoforza tesa poiché una eventuale pressione ulteriore potrebbe posizionare Twitter nel novero dei gruppi anti-Wikileaks al pari di Visa, Mastercard, PayPal ed Amazon. Con tutte le conseguenze del caso.