Quel che è stato stabilito nei giorni passati dal Conseil Supérieur de l’Audiovisuel francese non può che far discutere. L’autorità, infatti, ha imposto a radio e tv il divieto di nominare Twitter e Facebook poiché la cosa rappresenta una distorsione del mercato offrendo una chiara pubblicità gratuita ai due social network a discapito dell’intera concorrenza.
Occorre guardare a questa vicenda in modo obiettivo, poiché al di là dell’assurdità superficiale vi sono motivi di fondo da tenere in considerazione. Quel che asserisce il CSA, infatti, è formalmente impeccabile: radio e tv dovrebbero evitare di promuovere l’una o l’altra azienda, in qualsiasi ambito operi l’informazione, perché (al di là del lecito diritto di cronaca) offrire una vetrina gratuita a qualsiasi brand significa favorirne il mercato rispetto alla concorrenza. Il divieto coinvolge pertanto anche i semplici “Seguici su Twitter” o “Visita la nostra pagina Facebook” di cui telegiornali, trasmissioni di intrattenimento o altri format potrebbero far uso per coinvolgere la propria utenza online. Per logica deduzione quanto valido per Facebook e Twitter può essere parimenti valido per YouTube (leader dei video online), Skype o altri grandi brand della Rete.
Tuttavia l’approccio il CSA appare al tempo stesso estremamente superficiale. Quel che si ignora, infatti, è il valore culturale che un brand è in grado di far proprio nel tempo nell’immaginario collettivo. Parlare di Facebook o Twitter, infatti, è oggi spesso semplice sinonimo di social networking poiché il dominio dell’azienda viaggia in parallelo alla penetrazione del brand nei discorsi quotidiani. La situazione può essere simile a quella che negli anni passati aveva trasformato “Blockbuster” in sinonimo di noleggio video o “PlayStation” in sinonimo di console per il gaming: il tempo ha voluto che Blockbuster fallisse e la Xbox 360 cambiasse gli equilibri tra le console, ma fino a quando la concorrenza non si è riguadagnata una posizione di rispetto il gergo comune considerava i nomi propri di azienda come nomi comuni di cose.
Il Conseil Supérieur de l’Audiovisuel porta avanti una battaglia contro i mulini a vento che, pur se piena di meritevole idealismo, non sembra tuttavia supportata da un’utilità vera. Anzi, il dubbio strisciante è quello per cui la direttiva possa inserirsi nella solita scia di protezionismo anti-americano che in Francia ha reso più volte piedi anche negli ultimi anni (a partire dalle battaglie contro Google Books fino alle tentazioni di mettere in piedi anti-Google europei ed altre valutazioni di questa caratura).