Twitter sbarca in borsa. Ancora non si sa se le azioni saranno valutate al NYSE o al NASDAQ, ma a prescindere dal listino l’importante è il passo effettuato: il gruppo va oltre il proprio network e cerca investitori sulla pubblica piazza per far crescere ulteriormente il progetto. L’obiettivo è quello di raccogliere 1 miliardo di dollari, denaro fondamentale per sostenere i passi futuri della rete dei cinguettii.
140 caratteri per ogni messaggio, 250 milioni di utenti attivi, 500 milioni di messaggi inviati ogni singolo giorno: sono questi i numeri su cui si basa il biglietto da visita di Twitter. Il gruppo ha reso pubblico il proprio documento di richiesta alla SEC, nel quale è indicato “TWTR” come sigla identificativa (un nome destinato probabilmente a diventare un hashtag a stretto giro di posta), ed è questo il passo che in molti attendevano da tempo: sulle voci di Twitter sul mercato azionario si sprecano fiumi di inchiostro ormai da mesi.
Sono molte, però, le cose che gli investitori dovranno valutare al momento di soppesare l’acquisto delle azioni. Anzitutto è conclamato il fatto che l’hype di Twitter e la sua reale maturità siano entità inversamente proporzionali: spesso se ne è parlato in modo esagerato grazie allo star system ed alla facile penetrazione tra influencer e media mainstream, ma al tempo stesso il business è fragile e la natura stessa della community non riesce a confermare la propria solidità.
Il business, anzitutto: l’utenza è in calo, la pubblicità non decolla e gli stessi fatturati fin qui raccolti non sono sufficienti a compensare le uscite: il gruppo non è ancora mai stato in attivo e chi scommetterà sulle azioni TWTR dovrà partire da questo presupposto. Soltanto nella prima metà del 2013 il bilancio ha una voce passiva pari a 69,3 milioni di dollari, per un deficit complessivo giunto ormai a 418 milioni.
La community, infine: i numeri sembrano indicare pochi utenti che scrivono e molti che leggono, per un dialogo formattato a 140 caratteri che a fatica riesce a veicolare valore oltre ai soli tweet e retweet. Ma non solo: lo stesso scambio dei tweet è un parametro da approfondire poiché sulla definizione di “utente attivo” vi sarebbe molto da discutere:
Per noi un utente attivo è un attivo che ha compiuto il login ed accede a Twitter tramite il nostro sito, il nostro sito mobile, le applicazioni desktop o le applicazioni mobile, SMS o applicazioni di terze parti registrate o siti […]
Insomma: l’utente attivo è colui il quale compie una qualche attività sul social network, ma non necessariamente in lettura. Un utente, dunque, che non necessariamente legge realmente, interagisce realmente e restituisce realmente valore agli inserzionisti.
Lo si è unito alla Primavera Araba e lo si è utilizzato per promuovere il VIP di turno, lo si è sfruttato per schernire personaggi e lo si è cavalcato per iniziative promozionali più o meno riuscite. A conti fatti, però, il segno meno è rimasto davanti ai bilanci fin qui maturati. 1 miliardo di dollari aggiuntivi potrebbero consentire al gruppo maggior ossigeno per investire ancora, per rettificare la direttrice del network e per far qualcosa per ostacolare l’avanzata irrefrenabile di Facebook.
Il documento è stato depositato ed il prossimo step è nella definizione del prezzo di esordio, prezzo che definirà anche il prezzo di capitalizzazione complessivo di una azienda fin qui costruita più sul clamore che non sui bilanci. Poi la parola passerà una volta per tutte al mercato.