Uber può festeggiare la fine di un problema che perdurava ormai da tempo: tra il gruppo e la Federal Trade Commission USA scoppia infatti la pace, con una firma che fa tabula rasa di tutte le pendenze in atto tra le parti. L’accordo chiude pertanto non solo l’indagine svolta a seguito della fuga di dati del 2016, ma contempla altresì il data breach di due anni prima.
L’accordo fa piazza pulita del passato, quindi: le parti hanno convenuto anzitutto di porre fine al caso del 2016, quando una fuga di dati relativa a 57 milioni di utenti aveva gettato un grave allarme sul gruppo. L’accordo è stato infine esteso anche al precedente misfatto del 2014, quando si era già registrata una prima fuga di dati relativa però ad un numero molto inferiore di utenti (circa 100 mila).
Importante anche la direzione che assumono i termini dell’accordo tra le parti, poiché il principio di base rispettato è quello di un approccio educativo invece che punitivo. Uber si risparmia così una pericolosa sanzione, a patto di garantire una immediata divulgazione dei dettagli nel caso in cui dovessero avvenire ulteriori fughe di notizie. Questo è quel che si chiede alle aziende detentrici di dati personali, del resto: non la sicurezza assoluta (che nessuno potrà mai garantire), ma un comportamento secondo protocollo nel caso in cui si dovessero registrare eventuali problemi.
[Articolo rettificato a seguito dei chiarimenti ricevuti]