I giudici del Tribunale civile di Milano oggi hanno ascoltato gli avvocati di Uber che hanno presentato il ricorso in appello alla sentenza che ha inibito il servizio UberPop. Come prevedibile, il 2 luglio era una data simbolica, tanto importante quanto interlocutoria: rappresenta l’occasione per la società di rispondere con le proprie motivazioni a quelle dei tassisti. I giudici si sono riservati di decidere nei prossimi giorni.
Il reclamo presentato dalla multinazionale contro la cautelare dei tassisti, che hanno vinto la prima battaglia giudiziaria contro Uber e il suo servizio di ride sharing, ha sottolineato tutte le caratteristiche innovative dell’azienda, negando si tratti di concorrenza sleale. Per la country manager Benedetta Arese Lucini l’effetto del blocco imposto lo scorso 26 maggio è un ritorno al passato:
Con le nostre iniziative di questi giorni vogliamo parlare a nome di tutte quelle persone si trovano prive di un’alternativa al servizio pubblico economica, efficiente e accessibile. La chiusura all’innovazione portata da Uber è un passo indietro non solo per noi, ma per il Paese.
Come finirà?
Difficile fare previsioni sulla vicenda UberPop. La sezione d’appello potrebbe confermare la sentenza del giudice monocratico oppure smentirla, accogliendo l’istanza e negando la necessità di una chiusura cautelare. Le organizzazioni sindacali e di categoria dei tassisti e dei radiotaxi, che avevano chiesto l’oscuramento e l’inibitoria del servizio per “concorrenza sleale” sono in ogni caso intenzionate a proseguire e ci sono anche altre denunce e fascicoli aperti, come l’esposto del movimento consumatori all’Antitrust.
Finora a Uber è andata piuttosto male su tutta la linea: la mancata attenzione legislativa nel decreto concorrenza, che langue nelle commissioni, i brutti episodi anche personali contro chi vi lavora, la sentenza del tribunale di Milano che non ha atteso il reclamo, respingendo la richiesta di sospensione. Il clima sembra il peggiore possibile per un ribaltone, tanto che Uber si è molto concentrata sulla propria community. Ma è davvero la strategia giusta?
Tutti in carrozza
Nelle ultime settimane Uber Italia ha puntato sui propri clienti e sull’ironia. Ieri ha organizzato una nuova iniziativa caustica e divertente portando a Milano e Torino delle vere carrozze a cavallo guidate da cocchieri in stile Ottocento a disposizione degli iscritti all’applicazione. Uber vuole rappresentare in forma paradossale gli effetti di un blocco che riporta il paese indietro nel tempo, come tornasse in auge una modalità di trasporto superata, quando il mezzo di trasporto era un privilegio per pochi.
Correva l'anno 1852 #RitornoAlPassato #UberCLOP domani a #Torino e #Milano, rigorosamente al piccolo trotto pic.twitter.com/3JqNzwWU8c
— Uber_Italia (@Uber_Italia) June 30, 2015
Non c’è dubbio che Uber goda del favore delle nuove generazioni, che rappresenti una innovazione dirompente nel settore e che abbia qualche ragione di lamentarsi del livello del dibattito, ma alla fine resta una sola questione in campo: cosa deve fare una grossa società quando la legislazione è più arretrata rispetto al suo prodotto? La risposta giusta non è portare le persone in carrozza (magari prendendosi pure una multa) ma fare lobby. La politica è stata lungamente assente, ora pare essersi risvegliata. Ci sono almeno tre percorsi possibili: un decreto del governo, un emendamento al dl concorrenza sulle liberalizzazioni, una proposta di legge apposita sul carpooling e tutte le forme nuove di trasporto basato sulla condivisione di mezzi e tempo.
Un articolo di Bloomberg analizza il cambio di strategia di Uber negli Usa, dove in qualche stato, finalmente, sta imparando a fare grassroots campaign come si deve, partendo sì dal basso ma in modo da strutturare la mobilitazione in una influenza politica. Cosa che non è accaduta in Italia e molte altre parti del mondo. Ad un certo punto qui è sembrato di dover essere per forza a favore o contro, Uber è diventata divisiva, ma la gran parte dei clienti potenziali è nella fascia di mezzo, così come chi può risolvere i problemi, cioè i politici.
Probabilmente è solo questione di tempo e dalla Silicon Valley scenderà per i rami e cambierà qualcosa. Ad oggi, la situazione è quella della mappa qui sotto riprodotta: non può essere solo colpa dei tassisti e del conservatorismo o del neoluddismo.