Il focus di Uber si sposta in Asia, dove il colosso del ride sharing ha avviato un progetto finalizzato alla mappatura del territorio. Più precisamente, l’iniziativa riguarda in un primo momento le strade di Singapore. Si tratta di un programma messo in campo con l’obiettivo di migliorare la qualità del servizio offerto nel territorio, sia per gli autisti che per i passeggeri che ne usufruiscono.
Le vetture di Uber impegnate in questo tipo di operazioni sono già state utilizzate negli Stati Uniti, in Australia, in Messico, in Canada, nel Regno Unito e in Sudafrica, ma mai prima d’ora in Oriente, dove il gruppo ha deciso l’estate scorsa di cedere il proprio business in Cina al concorrente Didi per ridurre le perdite nel territorio (circa un miliardo di dollari ogni anno). La tecnologia impiegata è quella sviluppata dalla startup deCarta, acquisita nel 2015. Si ricorda inoltre che, nello stesso periodo, l’azienda ha assunto due ex membri del team al lavoro sulla piattaforma Google Maps, ovvero Brian McClendon e Manik Gupta.
Le mappe esistenti costituiscono un buon punto di partenza, ma alcune informazioni non sono così importanti per Uber, ad esempio la topografia degli oceani. Ci sono altre cose che necessitiamo di conoscere meglio, come i pattern del traffico e i punti esatti in cui caricare o lasciare i passeggeri. Dobbiamo poter essere in grado di offrire la stessa esperienza di altre parti del mondo anche dove non ci sono mappe dettagliate o segnaletica stradale.
Il modello di ride sharing proposto da Uber sta rendendo quanto sperato in alcuni paesi asiatici come Singapore e Thailandia, mentre altrove fatica a crescere, talvolta a causa di pressioni esercitate dai governi e dalle lobby dei servizi di trasporto più tradizionali, come nel caso di Taiwan (dove il servizio è stato sospeso nelle scorse settimane), Giappone e Corea del Sud.