Uber ha dato in via ad un nuovo esperimento con cui conta di costruire un ranking interno relativo alla qualità della guida dei propri autisti. Il meccanismo è relativamente semplice, ma è al momento ignoto il modo in cui sarà implementato nel sistema attuale del servizio.
Il succo sta nel monitorare le abitudini di guida dell’autista attraverso l’app sullo smartphone. Molte sono infatti le informazioni che quest’ultimo è in grado di fornire: posizione, accelerazione, frenate e altro ancora. Inoltre è possibile capire se l’autista interagisca con lo smartphone mentre guida, oppure se supera i limiti di velocità previsti e infine se il feedback positivo o negativo ricevuto sia o meno correlato alla guida.
Formalmente il gruppo intende portare avanti questa iniziativa per aumentare la sicurezza del proprio servizio, costringendo in qualche modo i propri autisti a comportamenti in linea con le regole della mobilità urbana. La riduzione degli incidenti e delle vittime è infatti strettamente dipendente dalle abitudini di guida e dall’interruzione di eventuali guide in stato di ebbrezza. Ecco il vantaggio primo di questo tipo di monitoraggio continuo: la violazione dei limiti di velocità, ad esempio, può essere ovviata con avvisi immediati tramite l’app dell’autista; l’aggressività della guida e la presenza di frequenti frenate brusche sono sintomi di uno stile di guida che spesso prelude all’incidente, il che potrebbe consigliare a Uber una gestione speciale dell’autista durante certi momenti; l’analisi delle abitudini quotidiane può essere un modo per giudicare l’autista durante le pratiche di guida, potendone così pesare qualità e affidabilità ed offrendo il meglio agli utenti in cerca di un passaggio.
Secondo il Wall Street Journal l’esperimento potrebbe essere in qualche modo una violazione della privacy degli autisti, i quali non vanno considerati dipendenti ma attori indipendenti e dunque non monitorabili. Tale aspetto appare però strumentale ad una certa visione di Uber e fin quando non si potrà dirimere la controversia legata alla sharing economy difficilmente si potrà giudicare nel dettaglio la bontà o la non leicità di talune iniziative.
L’app invia report quotidiani agli autisti, li aiuta durante la guida, controlla che lo smartphone sia ben posizionato in auto (e non tenuto in mano o in tasca) ed offre feedback immediati in caso di comportamenti non tollerabili quali una violazione dei limiti di velocità. L’aggiornamento è stato inviato in 11 città statunitensi e sarà progressivamente esteso per una applicazione più ampia ed efficace. L’app non diventa insomma soltanto un servizio in più, ma vero e proprio valore aggiunto di una compagnia che intende generare valore proprio grazie alla tecnologia e all’innovazione.
I primi tester non avrebbero riscontrato effetti sulla propria attività, ma avrebbero semplicemente ammesso di far tesoro dei dati raccolti per migliorare il proprio stile di guida. Difficilmente Uber userà tali dati pubblicamente: con maggior probabilità potrà farne tesoro per migliorare la propria flotta e per capire quanto lo stile di guida possa incidere sull’esperienza finale. Rimane la bontà di un uso mirato della tecnologia al fine di migliorare il servizio offerto, applicando i big data sul comportamento quotidiano di un professionista: il futuro passa anche attraverso questo tipo di applicazioni e presto assicurazioni, compagnie di taxi e altri ancora potrebbero seguire medesime strade.