Una piattaforma digitale? Per nulla: è una società di trasporti e dovrebbe acquisire licenze e assumere i conducenti. Il parere, non vincolante, dell’avvocatura generale della Corte Europea a proposito di Uber non potrebbe essere più radicale: in attesa che la Corte stessa si pronunci sul caso, entro fine anno, queste parole da Lussemburgo danno ulteriore man forte a quegli Stati membri che hanno chiuso o sospeso l’attività della famosa applicazione. Fra questi c’è l’Italia, che ha cancellato Uber Pop e il tribunale di Roma sta per decidere il destino anche della versione Black, per professionisti Ncc.
Per Maciej Szpunar, l’avvocato che si è occupato della causa nata in Spagna con il ricorso di un’organizzazione di tassisti della città di Barcellona, la società americana non è un fornitore di servizi immateriali, dunque deve essere assoggettata alle regole del settore dei trasporti. Ovviamente ogni stato membro è poi libero di avere le regole che ritiene dentro questo cornice. Se questo parere (pdf) fosse confermato anche in sede di tribunale nessuno potrebbe applicare le normative sulla libera circolazione dei servizi – quelle del commercio elettronico, per intendersi – e gli Stati membri sarebbero liberi, anzi pressoché obbligati dai ricorsi dei tassisti stessi, di imporre l’obbligo di licenze. Con la battaglia (in tutti i sensi) che esploderebbe per non concedergliele in paesi come il nostro, dove le licenze fornite dai comuni sono continuo terreno di scontro.
Ricorda la sentenza di Milano
Leggere il parere dell’avvocatura è quasi un viaggio nel tempo, indietro di due anni. Il ragionamento è infatti identico a quello che portò i giudici di Milano a chiudere il servizio Uber Pop: la società californiana propone un servizio che controlla tutti i fattori economicamente rilevanti nel processo di erogazione e gestione dello stesso, dunque non può sottrarsi a un livello superiore di responsabilità:
I conducenti che circolano nell’ambito della piattaforma Uber non svolgono un’attività propria che esisterebbe indipendentemente dalla suddetta piattaforma. L’attività esiste invece soltanto grazie alla piattaforma, senza la quale la prima non avrebbe alcun senso: Uber impone ai conducenti condizioni preliminari per l’accesso all’attività e per il relativo svolgimento, premia finanziariamente i conducenti che coprono un numero rilevante di tratte e indica loro i luoghi e i periodi in cui possono contare su un numero considerevole di corse e/o su tariffe vantaggiose, esercita un controllo, benché indiretto, sulla qualità del lavoro dei conducenti e fissa, in pratica, il prezzo del servizio.
In soldoni, Uber non è un semplice intermediario tecnologico, è il boss. Questo significa che Uber diventerà un servizio di trasporti, classicamente inteso? Ovviamente si è ben lungi da uno scenario del genere: Uber Italia ha fatto notare che il parere riguarda un tipo di servizio, il ride sharing non professionale, già sospeso in molti paesi dell’Unione (ma ancora attivo in alcuni paesi del nord-est europa). Certamente però una eventuale sentenza coerente con questo parere rallenterebbe, secondo Uber, l’aggiornamento della legislazione nazionale su questo settore, ormai stravolto dalla tecnologia.
I consumatori
Il commento del Codacons, per voce del presidente Carlo Rienzi, è però che questo parere dell’avvocatura generale secondo cui Uber può essere obbligata a possedere le licenze richieste dalle legislazioni nazionali per i taxi, è superato e inapplicabile:
L’innovazione oramai è inarrestabile e inevitabile, per questo le conclusioni appaiono lontane dalla realtà. (…) Gli utenti reclamano a gran voce servizi come Uber utilizzati in tutto il mondo, e se verrà impedito alla società di operare in Italia nasceranno altre App analoghe e altri servizi alternativi ai taxi.
Lo scenario
La sensazione, considerando in particolare il rumoroso silenzio di Bruxelles, chiamata a dare una risposta sulla sharing economy che valga come indirizzo per le legislazioni nazionali, è che Uber venga considerata ormai una realtà a sé stante, un modello di business “sacrificabile” rispetto a quello più puramente legato all’economia collaborativa, che invece alla Commissione piace, come spiegato in una raccomandazione undici mesi fa. Questo significa che probabilmente verranno ascoltati molti ricorsi di società come AirBnb o Blablacar e tante altre, e che si cercherà una soluzione che eviti l’accusa di concorrenza sleale, ma Uber potrebbe anche restare sola, isolata. Proprio per le caratteristiche del suo business. Dipenderà dalle mosse dell’azienda stessa e anche dal clima politico dei prossimi mesi e anni rispetto alle OTT.