Ieri una persona che stava accompagnando in auto un’altra persona sulla Nervi-Pegli è stata fermata dalla polizia municipale, ha subito la sospensione della patente, il sequestro del mezzo e una contravvenzione di 1700 euro. Com’è possibile? Perché il conducente dell’auto era uno dei 70 automobilisti che hanno siglato un accordo con UberPOP, il servizio di ride sharing della famosa applicazione mondiale. Il comune di Genova, allertato dai tassisti, sta cercando di fermarla facendo tesoro dell’esperienza tedesca. Uber pagherà la multa all’autista e si dice tranquilla, ma per Genova questi autisti sono illegali.
Il capoluogo ligure, per voce dell’assessore al traffico Anna Dagnino, aveva annunciato già la scorsa settimana che avrebbe messo sul terreno controlli a quegli automobilisti colpevoli – secondo la loro visione – di attività illecita nei confronti del settore del trasporto privato. Per quale ragione? Il servizio UberPop è relativamente nuovo rispetto a quello standard e non prevede un autista professionista a noleggio, ma la condivisione dei posti auto di qualcuno tramite lo smartphone, l’applicazione, e ovviamente una percentuale (il 20%) a Uber. In pratica, è l’Airbnb del passaggio in auto. Non ancora presentato a Roma e in fase sperimentale a Milano, UberPOP è invece stato aperto a Genova, ed è gratuito fino al 10 ottobre. Inevitabile che fosse questa la città delle prime reazioni di contrasto.
https://twitter.com/Uber_Milano/status/512499451509104640
Nessuno sa bene cosa fare
Il problema è sempre il solito, quello che ha portato anche al convegno alla Camera qualche settimana fa: la sharing economy sta cambiando i parametri del lavoro, delle professioni. Di qua un mondo basato su condivisione di spazi, tempo, risorse, di là una suddivisione per categorie professionali e licenze. L’argomento dei sostenitori è la libertà economica, quello dei detrattori la difesa dei consumatori tramite contrattualità e responsabilità (anche assicurativa) certe.
A questi argomenti è risultata molto sensibile anche la Germania, dove però si è arrivati, lo scorso 16 settembre, alla decisione del tribunale di Francoforte di sospendere l’ingiunzione presentata da Taxi Deutschland contro UberPOP. In attesa di comprendere meglio i profili di legittimità, insomma, ogni paese e persino ogni municipalità cerca una propria via a seconda, per dirla chiaramente, del livello di pressione delle corporazioni.
I nostri driver sono studenti, lavoratori part-time,persone che condividono costi di gestione (sempre più alti) di un'auto. #uberPOP #genova
— Tourist VAN Italia (@TouristVAN_ITA) September 25, 2014
Il ride sharing però piace
Un recente sondaggio sul ride sharing in Germania ha indicato che il 70% dei tedeschi è favorevole a condividere la propria auto e vuole avere la possibilità di farlo. Questo è un elemento molto importante per capire che c’è una generazione di consumatori che, a torto o a ragione, non dà alcuna importanza alla divisione sociale del lavoro stabilita nel secolo scorso. Se un algoritmo, un’applicazione, aiutano a trovare una stanza in una città, un posto auto, il resto non conta: per gli imprevisti piccoli c’è il meccanismo delle recensioni e della reputation, per quelli grossi (la stanza prende fuoco, l’autista esce di strada) ci sono le coperture contrattuali e i controlli che queste società stanno imparando a fare sempre meglio.
Come spiegato dal professor Carlo Alberto Carnevale Maffè, in questa nuova economia non vale il modello tradizionale che vede la distinzione tra produttori e consumatori, ma «si va definendo un modello peer in cui soggetti di pari dignità si scambiano beni e servizi sulla base di reciproche promesse, che diventano penalità nel caso in cui non vengano mantenute».
In occasione del convegno dell’11 settembre, la country manager italiana di Uber, Benedetta Arese Lucini, così aveva definito la sharing economy e nello specifico il ride sharing:
È uno dei grandi fenomeni del nostro tempo, frutto del cambiamento culturale che vede le persone meno interessate al possesso dei beni e più aperte alla condivisione e allo scambio. Pensando alla mobilità urbana, il ride sharing rappresenta l’opportunità di trasformare un bene sottoutilizzato – quale è oggi l’auto privata – in un servizio per tutta la comunità, grazie alla possibilità di connettere più passeggeri lungo il tragitto e rendere la vettura accessibile a più persone in momenti diversi, a prezzi differenti.