La vicenda Uber ha occupato le pagine di tutta Italia per giorni, spesso e volentieri sottolineando più i toni accesi della ressa tra le parti che non illustrando i motivi veri della protesta da una parte e della difesa dall’altra. In Italia la vicenda ha assunto un tono ulteriore, una sfumatura che è rapidamente diventata argomentazione protagonista nelle tesi e contro-tesi sull’argomento: il provincialismo italiota, base su cui si sarebbero innestate la casta dei taxi da una parte e le accuse nerd dall’altra.
Succede poi però che basta un semplice sguardo oltre il confine per capire che non tutto è come sembra e che l’argomento necessita di molta più serenità e molto più senso costruttivo per essere compreso e approfondito davvero.
La guerra contro Uber prenderà il via fin dall’11 giugno, quando tutta l’Europa sarà attraversata da uno sciopero generale dei taxisti che chiedono regole più stringenti per quella che è una applicazione dalle enormi ricadute sul mercato reale dei trasporti. Negli Stati Uniti, che in molti identificano come il Sacro Graal del liberismo e delle neo-economie del digitale, le agitazioni hanno preso il via parimenti a quanto accaduto in Europa, smontando del tutto il sapore provinciale della battaglia italiana dei taxisti.
Nel Connecticut 15 compagnie avrebbero addirittura depositato una denuncia contro Uber e la similare Lyft, denunciando nello specifico la carenza delle necessarie misure di sicurezza. Così come in Italia si contesta il modello regolamentativo a cui risponde Uber, negli Stati Uniti l’attacco verte invece sulla mancanza dei requisiti professionali che invece il mondo dei taxi richiede ai propri affiliati: capacità di guida, ricorrenti controlli sulle auto ed altri requisiti sarebbero del tutto assenti nel modello Uber, ove quindi il cliente va incontro ad un servizio privo delle garanzie offerte invece dal più strutturato mondo dei taxi.
Così come Uber si professa differente dal mondo dei taxi e pretende dunque differenze di trattamento, il mondo dei taxi contesta invece le sovrapposizioni evidenti e richiede garanzie di equo trattamento da parte delle istituzioni. Al di là di ogni giudizio sul contesto della diatriba (puntare il dito sull’Italia sembra per molti versi equivalere al guardare il dito invece che la Luna), insomma, la sfida tra Uber e i taxisti si pone a livello internazionale come una vera e propria sfida tra modelli economici, tra filosofie di servizio, tra modi opposti di guardare al futuro.
Il tema è quindi sufficientemente complesso in sé, senza bisogno alcuno di alcuna interpretazione che tiri in ballo la mentalità italiana, poiché sposterebbe il focus dell’attenzione rispetto a una diatriba che necessita invece assolutamente di tutte le attenzioni e la sensibilità possibili.