Alla fine dello scorso anno scoppiò la discussione in merito al programma Heaven di Uber, un’iniziativa interna che consentiva ai dipendenti di monitorare nel dettaglio gli spostamenti dell’utenza, oggetto di alcuni abusi. Una pratica lesiva per la privacy degli iscritti, che attirò sul gruppo numerose polemiche. Oggi si torna a parlare di tutela dei dati personali per chi sceglie il servizio di ride sharing offerto dall’azienda di Travis Kalanick.
La vicenda odierna riguarda l’Egitto, dove il governo ha chiesto a Uber di fornire il pieno accesso alle informazioni relative agli utenti e ai viaggi effettuati. La società ha risposto con un rifiuto, schierandosi così in modo aperto a tutela dei propri utilizzatori. Lo stesso ha fatto Careem, il principale concorrente nell’area mediorientale. Per ora rimarrà dunque tutto come sempre, con le istituzioni e le forze dell’ordine locali che non avranno modo di consultare i dati personali se non in sede di un procedimento giudiziario. Le cose, però, potrebbero cambiare a breve, in seguito alla possibile approvazione di una proposta di legge attualmente al vaglio del parlamento.
Il testo prevede non solo la locazione dei server all’interno dei confini egiziani, ma anche il pieno potere concesso alle autorità di disporre dei dati in essi contenuti. Sia Uber che Careem hanno già invocato l’introduzione di modifiche in modo da rendere la norma meno gravosa in termini effetti sulla privacy degli utenti. Si teme che un potere di questo tipo possa essere impiegato dal governo per monitorare gli spostamenti dei rappresentanti dell’opposizione e delle associazioni che si battono per i diritti civili.
Una minaccia per la libertà che andrebbe ad accodarsi a quanto successo nei mesi scorsi, quando il paese ha deciso di bloccare (salvo poi rendere nuovamente disponibile un paio di giorni più tardi) l’applicazione Signal per le chat, ritenuta a prova di intercettazione.