Alle 8:00 del 4 dicembre a debuttato a Torino Uber Taxi, il nuovo tentativo dell’azienda californiana di ricucire i rapporti in Italia. Non si tratta della classica app di Uber, presente in Italia solo a Roma e Milano e nemmeno di Uber Pop, ma un’app che permette ai clienti di cercare e prenotare corse di “auto bianche”, ma guidate da conducenti professionisti che hanno una regolare licenza. Torino è la sesta città al nell’area europea-asiatica a partecipare ai test di questo servizio, insieme a Berlino, Dusseldorf, Atene, Dublino e Istanbul.
In sostanza significa l’apertura di un dialogo con il mondo dei taxi, con un’app molto simile ad esempio a Wetaxi. Si scarica l’applicazione, si cerca la corsa e si paga online, ma con l’aggiunta di funzioni “alla Uber”, cioè avere informazioni sull’autista, vedere il percorso o dividere il costo della corsa.
Uber guadagna il 7% della corsa, il resto lo prende il tassista chiaramente in base a quanto segna il tassametro. La paga per i tassisti che aderiscono è giornaliera e non settimanale e ognuno di loro può godere di un contratto di assicurazione Axa. Coloro che usufruiscono di Uber Taxi possono anche dare una mancia (detassata) se pensano che il servizio sia stato all’altezza.
Sia l’utente che i tassisti potranno votarsi a vicenda, una funzionalità utile ai viaggiatori per conoscere l’affidabilità del conducente e viceversa. Uber da Torino quindi modifica il suo modello di business e posizionamento, addio anche all’esclusiva: chi lavora per Uber potrà lavorare anche per qualsiasi altra piattaforma.
Inizialmente le vetture disponibili non saranno molte, si parla di qualche dozzina, ma l’obiettivo è chiaro: procedere a piccoli passi, senza posizioni rigide e cercare di collaborare con istituzioni e tassisti. Uber vuole così dimostrare che i due modelli possono coesistere, tendendo la mano ai tassisti per entrare in un mercato da cui, in alcuni luoghi, è stata esclusa. Ora bisognerà constatare quanti tassisti utilizzeranno questa piattaforma.