I dettagli latitano poiché ancora non ne sono state diramate le specifiche ufficiali, ma il nuovo Ubuntu è ormai realtà. La versione ribattezzata “Jaunty Jackalope” (differenziandosi dall’annunciata “Karmik Koala“) ha iniziato a far comparsa sui server del gruppo e le prime immagini masterizzabili sono disponibili al download (con alcune difficoltà dovute alla congestione dei server causata dalla concitazione del momento).
La nuova versione del sistema operativo giunge all’utenza in triplice versione: Desktop, Server e Netbook. Canonical, come sottolineato da Webnews, ha già diramato nei giorni scorsi le novità di maggior spessore e le ISO comparse in queste ore non fanno che annunciare la prossima ufficializzazione della nuova distribuzione. Coloro i quali intendono passare dalla precedente 8.10 alla 9.04 attuale potranno seguire le istruzioni riportate sul sito ufficiale: entro poche ore ogni indicazione sarà relativa alla versione “gold”, lasciando alle spalle la release candidate rilasciata nei giorni scorsi.
Tra le novità principali della “Jaunty Jackalope” si segnalano:
- rinnovato sistema di notifiche a miglioramento dell’esperienza utente (disponibile un swf esplicativo);
- riduzione all’osso dei tempi di avvio del sistema, con valutazioni che si spingono fino ai 25 secondi con tempi ulteriormente minori nel caso in cui il sistema alloggi su hard disk SSD;
- supporto migliorato per schede WiFi e 3G;
- Gnome 2.26;
- X.Org server 1.6;
- Linux kernel 2.6.28;
- supporto al filesystem Ext4.
Mark Shuttleworth, il nome a monte del progetto Ubuntu, propone una riflessione su quello che la nuova versione andrà ad affrontare in un momento di grande evoluzione nel mondo dei device informatici: «Ci siamo chiesti se possiamo migliorare l’esperienza nel momento in cui [il desktop] diventa come un telefono… effettivamente un device da 24 ore al giorno. Vediamo device a bassissimo consumo all’orizzonte». È infatti sui netbook che il sistema operativo intende far sentire forte la propria voce: sui device di minor caratura l’open source può adattarsi meglio alle necessità richieste dal low-cost e la cosa può divenire una sorta di testa di ponte per poter portare Ubuntu anche sui desktop tradizionali.