L’Europa soffre di una carenza di Information Tecnology che avrà gli effetti di una carestia: è il poco esaltante scenario descritto da un report della Commissione Europea realizzato per la E-Skills week (si chiuderà il 30 marzo a Copenhagen) sulle competenze del vecchio continente, che spiega come nel 2015 il 90% dei posti lavoro necessiterà di competenze informatiche, ma mancano all’appello almeno 700 mila professionisti con queste conoscenze.
Un bel paradosso nell’Europa della crisi occupazionale (il 21% tra i giovani) che non potrà che peggiorare senza adeguate contromisure. Basti pensare che nel 2020 è previsto un aumento di 20 milioni di posti di lavoro legati all’ITC e una riduzione di 12 milioni di posti a bassa qualifica: l’information tecnology rappresenta il 5% del PIL europeo e ha continuato a crescere ad un tasso annuo del 3% anche dopo il 2008 e la crisi mondiale. Che fare?
Secondo la Commissione, è necessario spostare gli investimenti nella crescita delle competenze informatiche, sapendo però che le percentuali di occupazione e stabilità tipiche dei lavori classici non sono più possibili: le nuove occupazioni sono più flessibili, meno stanziali anche geograficamente, ma rappresentano una voce concreta nel bilancio molto negativo dei giovani laureati europei, che non riescono assolutamente a trovare impiego come le generazioni precedenti con titoli di studio uguali o inferiori.
Aver identificato questo deficit culturale che si trasforma in deficit strutturale è già un primo passo. Ma anche la politica deve cambiare passo. Su ZDNet, Charlie Osborne nella rubrica iGeneration cita le risposte inadeguate di Bruxelles in merito a questo problema, come fosse solo una questione di libertà di istruzione:
È questo tipo di tecnofobia e una mancanza di comprensione che minacciano l’economia digitale del futuro dell’Unione europea. Mentre gli Stati Uniti e la Cina mostrano già i segni di una ripresa economica, l”UE rischia di affondare per mancanza di investimenti e priorità. Ci sono esempi di progetti che attualmente operano all’interno dell’Unione europea, ma potrebbero non essere sufficienti a sopportare l’impatto richiesto per occupare non solo le migliaia di posti vacanti, ma per compensare un’economia sempre più digitale.
Non c’è nessun giovane europeo che non sappia utilizzare uno smartphone o non conosca gli ultimi videogame più spettacolari: forse però è venuto il momento di capire a fondo che le competenze informatiche servono a ben altro in una economia in rapida digitalizzazione. Assimilare a livello strutturale tale consapevolezza potrebbe offrire al continente una opportunità di rilancio supplementare.