Google può brindare: per una volta, la Corte suprema europea ha dato ragione alla società americana, imponendo nuovi limiti geografici al “diritto all’oblio”. Di fatto, ha affermato che nella maggior parte dei casi dovrebbe applicarsi solo all’interno dell’Unione Europea, perché fuori dal Vecchio Continente vigono regole diverse. Anche per il web.
Si tratta di una vittoria significativa per Google: la Commissione francese dell’informatica e delle libertà, nel 2016 aveva infatti inflitto all’azienda statunitense una multa per non aver applicato tale diritto. Ma cos’è il diritto all’oblio? Si tratta di una forma di garanzia che non prevede la diffusione, senza particolari motivi, di informazioni pregiudizievoli di una persona. In soldoni, qualora venisse applicata, i motori di ricerca dovrebbero eliminare link a siti contenenti informazioni che potrebbero avere ripercussioni negative sulla persona interessata. Per esempio video imbarazzanti, piuttosto che vecchi guai giudiziari. Questo non equivale a rimuovere dal web informazioni simili, anche perché non è nelle competenze dei motori di ricerca, ma di renderle meno indicizzate nei risultati affinché siano più difficili da trovare.
Secondo l’Unione Europea, comunque, il colosso di Mountain View non è tenuto a rimuovere i collegamenti contenenti informazioni personali sui cittadini dai risultati di ricerca. L’autorità francese addetta alla regolamentazione della privacy aveva cercato di estendere tale diritto oltre i confini dell’UE, una posizione contrastata dai media, dai sostenitori della libertà di parola e dalle società tecnologiche come Google, che tendono da sempre a resistere a ogni tipo di censura. A ogni modo il tribunale ha riconosciuto che la protezione dei dati personali non è un diritto assoluto ed è necessario che sia bilanciato come altre libertà.
Secondo la sentenza emessa dal tribunale nel 2014, i motori di ricerca dovrebbero valutare la rimozione dei collegamenti nel caso in cui le informazioni non siano precise, siano eccessive o di interesse pubblico. Nel frattempo, il colosso della ricerca ha lanciato il Play Pass, un servizio che consente, tramite abbonamento mensile, di accedere a una libreria contenente circa 350 giochi e app disponibili sul Play Store. Una mossa che strizza l’occhio ad Apple Arcade, sebbene quest’ultimo offra meno contenuti