I rivenditori di musica britannici non ce la fanno più e protestano apertamente contro la BPI, la società che riunisce le etichette musicali del Regno Unito. Il motivo è il Digital Right Management. Le tecnologie che dovrebbero proteggere la musica digitale venduta legalmente dall’uso pirata, infatti, non fanno che affossarne le vendite.
La polemica contro i Digital Rights Managment, cioè le tecnologie che impediscono, la copia, la condivisione e la trasformazione di un brano musicale acquistato in digitale e che ne regolano la masterizzazione e la riproduzione su altri device, sono al centro di polemiche da quando esistono, ma per molto tempo erano unicamente i consumatori a non avere a genio la loro applicazione. Ora invece sono i rivenditori stessi a far notare come essi non giovino al mercato.
«Stanno soffocando la crescita e vanno contro gli interessi del consumatore» ha detto a tal proposito Kim Bayley, direttore generale dell’ERA, l’associazione dei rivenditori del settore intrattenimento. Solo 150 milioni sarebbe la cifra di downloads venduti nel Regno Unito, circa 79 pence per abitante della nazione all’anno, una figura pietosa la cui colpa sarebbe da imputare alla reticenza dei consumatori di acquistare beni che non possono sfruttare in pieno e che quindi non sentono come propri.
E secondo l’ERA sono proprio le etichette musicali a dover decidere di cambiare strada, smettendo di combattere la pirateria musicale con mezzi ancora più tarpanti e cercando invece di mettere in commercio musica libera, in modo da entrare in una certa concorrenza con il peer to peer. EMI, la prima etichetta ad aver adottato una politica liberista per la vendita della sua musica, sta vedendo che le vendite dei propri brani liberi da DRM sono ad esempio quattro volte superiori a quelle dei brani protetti.