Il primo maggio del 2012 Paul Miller lasciava Internet. Forse per sempre, forse soltanto per un giorno. L’idea, poi rispettata, era di resistere almeno un anno e poi raccontarlo a The Verge, il famoso blog americano che l’ha seguito passo per passo in questa astinenza drastica. Il suo reportage, a un anno di distanza, è un compendio molto sincero dalla conclusione sorprendente: la vita offline può essere tanto virtuale e anodina quanto quella online.
In molti attendevano di sapere cosa avrebbe scritto questo blogger, che aveva occupato vecchi e nuovi media per spiegare il suo esperimento (riprodotto in parte, qualche tempo fa, anche dal giornalista italiano Beppe Severgnini) che partiva da una sofferenza personale: la sensazione di essere diventato meno produttivo e incapace di relazioni umane vere.
E così, dopo aver festeggiato con gli amici la sua scelta di vita, con tanto di stacco dei cavi e sequestro del pc, ha cominciato la sua nuova vita che l’ha portato ad affrontare tutto in modo diverso. Da Internet free, una percentuale di persone sempre più sottile. Con quali effetti?
Ora dovrei dire come ho risolto tutti i miei problemi. Dovrei essere illuminato. Dovrei essere più “reale”, ora. Perfetto. Invece sono le 20:00 e mi sono appena svegliato. Ho dormito tutto il giorno, mi hanno svegliato otto messaggi vocali sul mio cellulare da parte di amici e colleghi. Sono andato al caffè per consumare la cena, vedere la partita dei Knicks, coi miei due giornali e una copia del New Yorker. E ora sto guardando Toy Story, mentre guardo di tanto in tanto il cursore lampeggiante in questo documento di testo, desiderando che si scriva da solo, sperando di generare le epifanie che la mia vita non è riuscita a produrre. Non volevo incontrare questo Paul verso la fine del mio viaggio durato un anno.
Già, nel lungo e interessante articolo del blogger la storia di questa vita offline – pagata dal suo editore – comincia dal fondo e da una cocente delusione. Anche se a soli 26 anni Miller, in Rete da quando ne aveva 12 e web designer e blogger di successo, si sentiva una specie di criceto dentro il meccanismo della Rete e sentisse il bisogno fisico e psicologico di scappare, il progetto non è andato secondo i piani.
Il mio piano era quello di lasciare il mio lavoro, tornare a casa coi miei genitori, leggere e scrivere libri, godermi il tempo libero. In un gesto glorioso volevo superare tutte le crisi del mio primo quarto di vita: avrei trovato il vero Paul, lontano da tutti i rumori, diventando un me migliore.
Internet free: all’inizio effetti strabilianti
All’inizio gli effetti sono stupefacenti ed entusiasmanti. L’incontro coi rabbini di New York e l’approfondimento dal punto di vista religioso sull’abuso di Internet, accusato di distruggere la pazienza, la riflessione, e quindi in ultima istanza la preghiera, perciò Dio. Registra anche la perdita di peso (15 chili), un aspetto che le ragazze considerano più sano ed attraente; il beneplacito dello psicanalista che è tutto un pacche sulle spalle. In agosto, nel suo diario di bordo, scrive che «noia e mancanza di stimoli mi spingono a fare cose che ho veramente a cuore, come la scrittura e passare il tempo con gli altri».
Gli effetti strabilianti non finiscono qui, sono anche legati alle performance: Paul legge e ricorda meglio, scrive in modo più raffinato, dialoga con la sorella, con gli amici, come mai aveva fatto prima. Con più sensibilità emotiva. Di cui gli altri si accorgono subito. Paul Miller, pochi mesi dopo l’addio a Internet si sente una persona ritrovata, potenziata.
Il ritorno alla realtà
Il brusco ritorno alla realtà avviene scoprendo che utilizzare i soli mezzi cartacei e analogici per il suo lavoro – scrivere un libro e intrattenere la corrispondenza con la comunità degli Internet free – gli costa una gran fatica. E invece di utilizzare il tempo libero per nuove scoperte e riattivare il processo creativo, si adagia sul consumo passivo e il ritiro sociale.
Dopo un anno, non guido la mia moto. Il mio frisbee raccoglie la polvere. Sono sempre più le settimane durante le quali non esco con gente per più di una volta. Il mio posto preferito è il divano. Gioco a un videogame, ascolto un audiolibro. Prendo un gioco senza cervello, come Borderlands 2 o Skate 3, e manovro distrattamente il pollice.
Anche questa è una reazione di rimbalzo prevedibile. Ma è l’analisi di Miller ad essere accattivante (soprattutto nello stile): alcuni aspetti della vita dell’era dell’accessibilità non era mai stati tanto lontani da ogni retorica pro e contro. Nel capitolo intitolato «la gente ha bisogno della gente», Miller giunge alle seguenti conclusioni:
Quando ho smesso di pensare a me come a una persona libera da Internet, ha preso il sopravvento la banalità dell’esistenza offline. Sapete che vi dico? È stato versato tanto inchiostro deridendo il falso concetto di un “amico su Facebook”, ma posso dirvi che un “amico su Facebook” è meglio di niente.
Il mio migliore amico, col quale avevo parlato ogni settimana per anni, si è trasferito in Cina quest’anno e non ho parlato con lui da allora. Il mio migliore amico di New York semplicemente è stato assorbito dal suo lavoro, e non sono riuscito a mantenere il mio scopo: sono finito fuori sincrono con il flusso della vita.
Il virtuale è nel reale e il reale nel virtuale
L’illuminazione su quanto il suo progetto fosse ingenuo viene dall’incontro con un teorico del web, Nathan Jurgenson, che spiega la compenetrazione delle due dimensioni nella società attuale. C’è tanta realtà nel virtuale quanto virtuale nella realtà. Quando si usa uno smartphone lo si fa nel tempo e nello spazio naturali, mentre quando magari una comunicazione avviene fuori dal campo della Rete, nel pensiero esiste una virtualità, legata al ruolo che i device potranno avere nel prolungare un incontro piacevole.
Il mio piano era quello di lasciare Internet e quindi trovare il “vero” Paul ed entrare in contatto con il mondo reale, ma il vero Paul e il mondo reale sono già indissolubilmente legati a Internet. Questo non per negare che la mia vita sia stata effettivamente diversa senza Internet, solo che non era affatto più reale.
Tornando online, dopo un anno, ora il blogger potrà videochiamare la sua nipotina di cinque anni, Keziah, potrà perdere tempo, distrarsi, fare clic su link errati. Non avrà più tempo per leggere lentamente e scrivere il grande romanzo che ha sempre voluto. O forse l’ha appena cominciato.