Continua la vicenda legata al servizio Google Books che ha visto di fronte, in un “braccio di ferro” dai toni alquanto accesi, da un lato il colosso delle ricerche sul Web e dall’altro le associazioni degli autori e degli editori.
La novità delle scorse ore è che Google sembra aver trovato un nuovo accordo, il secondo, con i suoi “oppositori” riguardo le modalità con cui BigG può accedere alle opere da scannerizzare e da inserire nel suo servizio.
La cosa che più appare evidente è che il colosso di Mountain View ha fatto un passo indietro rispetto ai termini del primo accordo, lasciando più potere ad autori ed editori e riservandosi quindi un ruolo “meno egemonistico” rispetto al passato.
Innanzitutto il nuovo accordo avrà un valore notevolmente più contenuto riguardo i paesi interessati, dato che la sua efficacia sarà rivolta esclusivamente a USA, Australia, Canada e Regno Unito, ovvero tutti paesi che si rifanno a norme del diritto anglosassone per regolare la gestione del diritto d’autore.
Entreranno poi a far parte del Book Rights Registry, cioè l’ente che dovrà sorvegliare il lavoro di digitalizzazione delle opere, un rappresentante degli autori e un rappresentante degli editori per ognuno dei paesi sopra menzionati, a garanzia del maggiore coinvolgimento delle due associazioni nel programma.
Una questione “spinosa” era poi quella relativa alle opere i cui diritti d’autore non sono mai stati rivendicati, i cui proventi andranno a costituire un fondo che si occuperà, per 10 anni, della ricerca di questi autori e che, in caso di ulteriore non reperibilità durante questo decennio, potranno essere devoluti in attività di beneficienza.
Altro aspetto da sottolineare sarà poi la più ampia apertura verso l’accesso alle opere scannerizzate riservato ai venditori concorrenti, con relative norme che stabiliscono le modalità di distribuzione al pubblico dei testi, tra cui formula di vendita come il print-on-demand, il download, e l’abbonamento.
Tutti dettagli che rimangono in mano al Book Rights Registry e che forniscono, o dovrebbero fornire, ampie possibilità di manovra ai detentori dei diritti, anche se resta sempre il dubbio di vedere se e come queste norme verranno applicate negli altri paesi che per ora restano fuori dall’accordo, ma questo ovviamente si vedrà più avanti.
Per ora infatti l’idea è che Google abbia recepito almeno molte tra le accuse più importanti che le erano state mosse negli scorsi mesi, accuse che erano sfociate in una class action e di cui adesso il gruppo dovrà rispondere alle autorità: basterà questa apertura per risolvere definitivamente la questione?