Il Nasdaq chiude la settimana, la sesta, intorno a quota 2.300, un livello già visto e superato ai primi del 2006.
Chi ha parcheggiato i propri risparmi sui tecnologici americani, in questi ultimi due anni, almeno sui panieri generici, ha assistito ad una lenta, stentata, estenuante salita che, dalla quota indicata, ha portato il noto indice statunitense sino al massimo poco sopra 2861: un sofferto, tutto sommato dignitoso, +24% in due anni.
Il problema è che in sole 12 settimane dal picco dello scorso Novembre, il Nasdaq ha perso tutto il terreno così faticosamente coperto e si ritrova ora proprio dov’era allora.
Dal punto di vista dell’investitore europeo, inoltre, è necessario computare la svalutazione del dollaro rispetto all’euro negli ultimi 24 mesi; ai primi del 2006 il rapporto fra le due valute era intorno a 1.20, ora è a 1.48: un’imbarazzante 23% da sottrarre alla piatta performance del famoso indice dei tecnologici americani.
Non tutto l’azionario a stelle e strisce si è però comportato alla stessa maniera: gli auriferi (indice HUI) sono passati nello stesso periodo da quota 325 all’attuale 475, un guadagno del 46% ottimo anche alla luce della svalutazione del dollaro rispetto alla valuta europea.
Anche il settore petrolifero (XOI), cresciuto dal 1050 di inizio 2006 al 1400 dell’ultima chiusura di venerdì, ha messo a segno un dignitoso +33% che in due anni è stato in grado di compensare la débâcle del biglietto verde e tutelare gli investitori del vecchio continente.